C'era una volta
la ex repubblica di Zubrovka, un tempo sede di un impero, dove, nel cimitero
ebraico della cittadina di Lutz, riposa l'Autore di un libro intitolato al
Grand Budapest Hotel, lussuosa residenza di ricche nobildonne mitteleuropee,
amorevolmente accudite dal concierge Monsieur Gustave H. e dal suo
garzoncello (lobby boy) Zero, che insieme vivranno la più straordinaria
delle avventure.
giovedì 6 agosto 2015
sabato 1 agosto 2015
Ines. Tra la pietas e il minuto quotidiano
Se avessi ancora un walkman lo
utilizzerei per ascoltare il libro di Dario Accolla “Da quando Ines è andata a
vivere in città” (Ed. Zona). È una raccolta di racconti pubblicata nel 2014,
eppure – vuoi per lo stile e per la trovata di cadenzare il testo non in serie
di capitoli, ma in successioni di canzoni come una playlist – ha un autentico
sapore anni ’80. Leggendolo mi viene da pensare al “mio self” del “Pao Pao” di Tondelli o comunque il pensiero viene
proiettato a quel tempo in cui l’essere omosessuale rappresentò davvero un
favoloso atto politico.
giovedì 25 giugno 2015
Un Bene di meno - domenica 28 giugno ore 19 al Perditempo
Domenica 28 giugno alle ore 19.00 al Perditempo
"Un Bene di meno"
Incontro con Marco Sciotto, autore del libro "Un Carmelo Bene di meno - discritture di "Nostra Signora dei Turchi" (Villaggio Maori Edizioni) e Floriana Grasso
La guerra dichiarata da Carmelo
Bene alla rappresentazione nell’arte, al suo ruolo consolatorio,
all’identificazione tra teatro e spettacolo, è ciò che ha mosso la sua attività
fin dagli inizi. Spinta, questa, che nel corso degli anni e della sua carriera
è maturata, fino a giungere ad esiti definitivi che hanno mostrato, forse per
la prima volta in modo totale e compiuto, come sia possibile ottenere l’assenza
in luogo della rappresentazione teatrale, passando per la dissoluzione del
significato nel significante, della volontà nell’abbandono, dell’azione
nell’atto.
martedì 26 maggio 2015
Le mappe delle stelle. Il nuovo umanesimo di David Cronenberg
Sono due le mappe delle stelle
dell'ultimo film di Cronenberg Maps to the stars (2014): le vediamo,
all'inizio e alla fine, accompagnare i titoli di testa e di coda. Bisogna
guardarle attentamente per vedere che sono diverse – la prima, virata in blu
come una vera carta astronomica, è una cartina stradale della città di Beverly
Hills, residenza eletta dell'ultimo Olimpo dell'immaginario popolare
contemporaneo – quello delle stelle del cinema; l'altra, raffigurazione
cartografica di alcune costellazioni, è quindi una mappa delle stelle vere.
Vero e falso accostati, mescolati, confusi fino a non essere più distinguibili:
è un tema sotteso a molte opere del regista canadese. Qui però l'impossibilità
non riguarda la sola percezione dell'individuo, come già in Crash (1996)
o in Spider (2002), ritratti della devianza e della follia, bensì
quella di un'intera società: che nelle intenzioni di Cronenberg non è poi così
diversa dalla nostra.
mercoledì 13 maggio 2015
#MaceroNo 15-16-17 Maggio a Catania
Ecco il programma definitivo (?) di #MaceroNo di quest'anno. Sapete benissimo che le cose definitive (!) ci vanno strette e ci mettono ansia, per cui aspettatevi un coup de théâtre che possa smarrirvi in mezzo a un migliaio di libri, a musica, cibo, dibattiti, bella gente!
Suvvia, vi aspettiamo tutte e tutti venerdì 15 Maggio dalle ore 17.00 per tre giorni da vivere assieme.
Suvvia, vi aspettiamo tutte e tutti venerdì 15 Maggio dalle ore 17.00 per tre giorni da vivere assieme.
lunedì 4 maggio 2015
il Maggio di Ossidi
Un mese intenso che ci farà divertire!
Il 9 alle 19.00 ci incontriamo al Perditempo con gli in-ossidabili lettori e lettrici per i nostri "Esercizi di stile"
Il 14, il 21 e il 28 saremo alla Biblioteca Comunale di Santa Lucia per il percorso di lettura "Curiosi di natura"
Il 15, il 16 e il 17 per tre giornate aderiamo alla campagna #MaceroNo, ci trovate in Via Sant'Elena 40 a Catania, alla sede di Catania Bene Comune
Il 22 incontriamo Caterina Pastura e Anita Magno della casa editrice Mesogea per un "Aperitivo con il sultano" al Perditempo
Il 27 ultimo incontro del progetto "Nati per leggere" alla Biblioteca Oasi
E a giugno...
giovedì 30 aprile 2015
L'olivo e l'olivastro
È quasi difficile seguire l'effluvio d'intimità
che è in questo libro di Vincenzo Consolo. Intimità tesa, traboccante
dell'idea che ricordare è un salto troppo in alto per atterrare senza farsi
male.
L'olivo e l'olivastro inizia con un
abbandono, cioè quello di Gibellina, piccolo paesino Siciliano in cui il
protagonista è nato. L'abbandono, che è poi solo un recalcitrante fuggire, un
levarsi dal manto di miseria che ricopre il paese dopo il terremoto, è seguito
da un viaggio in treno, che piano risale la penisola, e nel suo risalire,
scorre tracciando quasi un solco nella memoria. Tale squarcio è ferita da cui
inizia uno sgocciolare, un raggiare ricordi.
Allora il lettore - così come l'autore – viene
incalzato da una serie di inesorabili immagini che sfilano davanti ai suoi
occhi, pagina dopo pagina, a passo di processione. Ma è con raffinata acutezza
che Consolo promuove ad opera letteraria tale collettivo di respiri, immagini,
visioni e ricordi: e lo fa togliendo all'Odissea uno dei suoi episodi più cruciali,
abbindolato l'autore stesso dall'enorme capacità del mito omerico di sedurre in
ogni tempo le menti degli uomini.
Spoglio, lacero e consunto è infatti Ulisse,
dopo l'arrivo da naufrago sull'isola di Scheria, terra dei Feaci. Rimasto senza
compagni, quasi vinto dalle furie del mare, è l'uomo più solo del mondo e
scivola come un rivolo verso il fondo della dignità umana. La mente sta per
toccare le frange del sonno, quando l'eroe multiforme trova rifugio infilandosi
tra due folti cespugli nati da un medesimo ceppo, uno d'ulivo e l'altro
d'olivastro. Nascono da un medesimo ceppo questi due simboli del "coltivato
e del selvatico, del bestiale e dell'umano", dell'attendibile e
dell'incerto, quasi a voler significare una diramazione che è congenita nelle
cose, come lo è nella ramaglia sotto la quale trova rifugio Ulisse.
Biforcazione dunque in due vie, due ramature: quella del rigoglio e della
perdizione, quella della baldanza che è nel flutto e della rovina che è nella
risacca. È in tal modo che le storie raccontate dallo scrittore Messinese si
pongono dinnanzi al lettore, ovvero a guisa prima d'olivo e poi d'olivastro,
come in una storia d'amore che fin quando può riesce a mostrare il suo
sentimento più coltivato; ma che poi diviene, sotto il patrocino del tempo,
viluppo intricato di fogliame selvatico. Le storie, i luoghi e i personaggi di
cui si parla sono quelli di una sicilianità bella quanto folle, e di una
Sicilia ricca di sfarzi e splendori decaduti sotto le ceneri di tante città,
tante Ilio distrutte dalla piaga bestiale presa dall'uomo che le abita. Così è
il racconto della Milazzo nella cui piana fiorente pascolavano (secondo una
tradizione che va da Timeo a Ovidio, a Plinio, ad Appiano) le vacche del Dio
Sole, ma che viene soffocata, a partire dagli anni cinquanta, dalla raffineria.
"Sulla piana dove pascolavano gli
armenti del Sole, dove si coltivava il gelsomino, è sorta una vasta e fitta
città di silos, di tralicci, di ciminiere che perennemente vomitano fiamme e
fumo, una metallica, infernale città di Dite che tutto ha sconvolto ed
avvelenato: terra, cielo, mare, menti, cultura."
E come di Milazzo, si parla della Trapani "del
sale del tonno e del corallo"; di Siracusa, Avola, Cefalù, Gela,
Catania. Si narra l'architettura di una Caltagirone vista come metafora
dell'Italia intera, nell'opposizione tra la città vecchia barocca e le
mostruosità nate dalla cultura di massa che compongono invece la parte nuova,
sorta nel democristiano cinquantennio di "benessere" venuto fuori
dopo gli orrori del Fascismo. L'autore impreziosisce l'ossatura del libro con
ricordi personali di viaggi, storie di uomini, omaggi ad artisti come Verga e
Pirandello; il Caravaggio del quale si racconta la discesa nelle latomie di
Siracusa e la composizione della Santa Lucia che verrà rifiutata per la sua
troppa verità, come se della Sicilia si accetti di vedere soltanto la bellezza
insita nei suoi mari, nei suoi santi, nelle sue contrade infinite, e non invece
la sofferenza e la lacerazione provocate dall'incuria di uomini stretti nella
loro mentalità chiusa, circolare come un rosario, selvaggia e selvatica come
fogliame d'oleastro.
Di fronte a tutto questo sconquasso (sia esso
"sacco d'orde barbarie o furia di natura") il protagonista,
come detto, scappa. Ma di continuo gli sovvengono le immagini della sua terra:
si può veramente lasciare la Sicilia?
Vincenzo Consolo (che pure ha vissuto a Milano
dal '68) presenta in questo libro del '94 un viaggio, un canto da tragedia per
una terra che si insidia prepotentemente nella testa di chi l'abbandona in un
modo tale da magnificare ogni singolo ricordo. In tale opera, servendosi di una
lingua antica, colorita e preziosa, l'autore descrive la sicilianità come una
mentalità avvezza alla bellezza, ma folgorata ed abituata ad essa in una maniera
perfino eccessiva, tale da apprezzare il sole che la illumina ma da essere pure
accecati da esso e non riuscire dunque a prendersene cura.
In altre parole, quest'opera ricca di toni,
spunti e sfumature testimonia che la grandezza della Sicilia sta nella follia
che l'attraversa.
Alessandro Milone
lunedì 27 aprile 2015
Compitu re vivi
Questo è un libro che ogni volta si fa di sua fluorescenza
(non è casuale il colore della sua copertina, allora, no), perché ogni volta
che, consumato come è, fisicamente, vissuto dentro borsa e zaino, e letto a più
riprese, mi dà l'origine, come "senso del diritto", verrebbe da dire.
Poi, e non è a mero fin di gioco di parole, anche il "diritto al
senso", adesso che penso in reciprocità, questa frase-definizione.
venerdì 24 aprile 2015
#maceroNo2015
#maceroNo 15/17 Maggio 2015 via S. Elena, 40 CT |
Anche quest'anno Ossidi di Ferro e Catania Bene Comune [in collaborazione a Rocket from the kitchen e Arcigay Catania] realizzano a Catania #maceroNo, la campagna ideata l'anno scorso da DeriveApprodi, Eleuthera, Alegre e :duepunti [e che quest'anno si arricchisce dei contributi di iacobellieditore, Novalogos Edizioni, Atmoshpere libri e Ortica editrice, ma perde :duepunti] quale strumento di critica del mercato italiano dell'editoria
che viaggia ormai ai ritmi accelerati del turbocapitalismo.
In questo contesto i pochi pesci grandi divorano quelli piccoli imponendo alle piccole e medie case editrici di tenere il loro passo nella continua pubblicazione di novità editoriali. Ciò comporta che le case editrici non riconducibili ai grossi gruppi editoriali si trovano loro malgrado a dover aggiornare continuamente i loro cataloghi con la speranza di risultare visibili nel mare magno delle grandi catene librarie.
Le grasse catene del fast book impongono una sopravvivenza del libro sullo scaffale di pochissimo tempo, per cui il folle ricambio determina l'impossibilità delle case editrici che pubblicano per il piacere di diffondere pensiero di continuare a produrre forsennatamente rimpiazzi di testi ritenuti obsoleti dall'estetica del mercato e che invece sono nuovi nella loro sostanza e nella loro forma. Tutti questi libri nati vecchi per maledizione di business vengono depositati nei magazzini/cimiteri editoriali che hanno costi di mantenimento sempre meno sopportabili.
Per molti editori non c’è altra soluzione che mandare al macero tutte le giacenze e consegnare centinaia di libri, frutto di migliaia di ore di lavoro, all’oblio.
#maceroNo nasce come moto di rivolta a tale sistema! È il tentativo di difendere gli spazi di cultura critica nel senso della produzione e nel senso della diffusione e della diffusibilità.
A un anno dalla prima edizione, il progetto ha registrato un enorme e inatteso successo di pubblico. Oltre 50 iniziative in quattro mesi, migliaia di libri movimentati, migliaia di lettori che hanno scoperto testi altrimenti introvabili. Tutto questo a un prezzo popolare.
A Catania il 15-16-17 Maggio in via S. Elena 40, troverete il presidio di #maceroNo dove poter partecipare attivamente ai tavoli di discussione, alle assemblee pubbliche, ai laboratori creativi, dove i più piccoli potranno costruire il loro caleidoscopio e partecipare a letture animate, dove si potrà ascoltare buona musica, mangiarebere bene, stare insieme, e comprare i libri a un prezzo popolare per salvarli dal macero.
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specchio in frantumi ovvero frammenti riflessivi
lunedì 20 aprile 2015
A cosa allude la città
la mia città di domenica |
A cosa
allude la città
secondo i tuoi
occhi. persone
s’affacciano al
balcone per
parlare meglio da
soli, con la
strada s’intende
o al telefono con
gl’interlocutori di
passaggio,
magari le linee
coincidono e
come fili del
telegrafo si
comunica un
discorso, o un
dialogo sia pure
per iscritto. A
una città i
telegrammi da
un’altra, ad
esempio, chissà
se ancora
arrivano, o c’è
solo la tivù con la
sua cronaca
nero-cronica e quel
tantino falsata
da riuscire a creare il
panico da un
luogo all’altro,
mentre il primo è
sempre in bilico
tra guerriglia
civile e incomprensioni, l’altro fa
la battaglia finto-pacificata quella
del capitale (quella incivile, insomma) a dettame bancario è
chiaro ma i
telegiornali
hanno come
posto al
contrario la
questione del potere, forte e debole. Allora
la città nella sua
multiforme
opinione
rispettabile
dovrebbe avere
i propri inviati
speciali, che so, i
poeti magari o i
gabbiani che
dall’alto in basso
ne sanno
panoramiche
amicizie col cielo
e le previsioni e
pure cibandosi delle
immondizie si
tengono informati
sui rifiuti di una città,
che andrebbero di
certo rivalutati, oltre che
differenziati.
Giampaolo De Pietro
martedì 14 aprile 2015
L'Estetometria: Il Corpo nel Rock
Salve, mi chiamo Enrico e nel tempo libero mi occupo di Estetometria musicale.
La disciplina estetometrica è poco affermata in maniera indipendente (sebbene
se ne faccia largo uso su tante riviste online) e se ancora non l’avete trovata
sul vostro Devoto-Oli è perché è una parola che non rientra nel nostro
vocabolario, ma che possiamo trovare in quello portoghese. L’ho tradotta per i
non bilingue con Google Translate: “valutazione delle dimensioni
del torace”. Lì mi sono accorto che l’Estetometria non
esiste. È un neologismo di un folle con la mania per i voti di album e gruppi
musicali.
giovedì 9 aprile 2015
Le tre ghinee
Ne “Le tre ghinee” Virginia Woolf
immagina di ricevere una lettera da un avvocato [con una piccola tenuta a Norfolk
e uno studio legale a Londra] il quale chiede alla donna un finanziamento per
la sua causa, ovvero la prevenzione della guerra [siamo nel 1937/38].
La lettera giace sulla scrivania
dell’autrice da tre anni a causa della forte perplessità della stessa
nell’affrontare il tema con un interlocutore profondamente differente da lei:
un maschio. Tale differenza è, ovviamente, biologica ma, soprattutto, culturale
e politica. Come porsi di fronte alla guerra?
venerdì 20 marzo 2015
Tornare a casa
Se si vuole riprendere il ritmo, si deve assecondare la
propria aritmia. E quindi, dopo il frastuono e la confusione emotiva mi
riprendo piccoli spazi miei ma con una tempistica tutta sballata, almeno per il
momento.
E cerco di recuperare con le letture lasciate in sospeso e
con letture nuove e molto stuzzicanti.
giovedì 12 marzo 2015
Il ciclo della vita
«e quindi nel ciclo della vita si arriva finalmente alla
fase in cui i genitori cominciano a morire e ne muoiono per delicatezza prima
un paio così, timidamente, nel corso del tempo, piano piano, e per cercare di
abituarti all’idea»
E quindi arriva questo momento nel ciclo della vita, della
tua vita, e per quanto ti fossi preparato all’evento, per quanto la
consapevolezza fosse alta e la mente “allenata” all’idea, quel momento è, sarà
e resterà un momento sconvolgente. È il ciclo della vita, cambia tutto, le
situazioni si trasformano e, però, si “sopravvive” e si continua con una ferita
dentro e fuori che sicuro non si rimarginerà e che ti accompagnerà fino a
quando non arriverà il tuo momento nel ciclo della vita.
La mia settimana di letture si è bloccata per due settimane,
e oggi ritorna, se pure in ritardo, perché il ciclo della vita ci
ha travolti con la morte di mio papà e tutto si è davvero cristallizzato per
giorni.
mercoledì 18 febbraio 2015
Matematica congolese
Certo, se ti avventuri in libri così "filosofici" non ne esci più...
In questa settimana ho oscillato tra le riflessioni sulla morte di Harry Potter e l'ordine della fenice (finito, bellissimo), l'analisi e l'osservazione dei processi sociali, culturali ed economici che caratterizzano la "gestione del bene comune" nel saggio di Laura Pennacchi e i mille e più input che mi sta dando L'ordine simbolico della madre.
In questa settimana ho oscillato tra le riflessioni sulla morte di Harry Potter e l'ordine della fenice (finito, bellissimo), l'analisi e l'osservazione dei processi sociali, culturali ed economici che caratterizzano la "gestione del bene comune" nel saggio di Laura Pennacchi e i mille e più input che mi sta dando L'ordine simbolico della madre.
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mercoledì 11 febbraio 2015
Un'ora sola ti vorrei
Questa settimana “solo” due letture (a parte Harry Potter e
l’ordine della Fenice, chiaramente…).
Avendo intrapreso un percorso di lettura “impegnativa” con
Filosofia dei beni comuni di Laura Pennacchi (Donzelli) mi sono sentita pronta per colmare
una grande lacuna (almeno per me) con L’ordine simbolico della madre di Luisa
Muraro.
mercoledì 4 febbraio 2015
Il cielo è sempre il primo ad essere diviso
A gennaio 2015 ancora c’è chi, senza vergogna e senza paura,
racconta la favoletta de “la mafia di una volta…” Mi sono trovata l’altro
giorno in una sala d’attesa di una parrucchieria e ho sentito con molto stupore
un giovane parrucchiere, forse più giovane di me, che cercava di convincere una
signora non della qualità del colore per la tinta, ma della
bontà della proposta di Totò Riina: "scarceratemi e vi risolvo il problema dell’Isis".
Ora, non voglio aprire la discussione su carcere e dintorni, ma mi sembra
abnorme che si possa ancora credere alla retorica di una mafia buona, onorevole
e rispettosa, e che pregava sempre…
Al che, come antidoto a queste bestialità mi son letta
subito subito Strage di Natale del collettivo AAS di cui già avevo scritto
qualche settimana fa.
E ve lo consiglio moltissimo: un racconto efficace e sincero
sulla nostra ipocrisia e sul menefreghismo assai diffuso. In ambito di mafia,
certo, ma applicabile anche in altre occasioni.
Non ve lo perdete.
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martedì 3 febbraio 2015
Perché esplodere significa esistere
Nel silenzio più irreale come solo il silenzio vero può
apparire, in un non_spazio e non_tempo, d’un non_tratto accadde qualcosa per
cui, miliardi di anni dopo, io adesso scrivo, qui seduto di fronte a un
computer la cui materia era già in quel non_momento lì, quello che chiamano big
bang, il grande scoppio [che non è un famoso fruitore di droghe che con esse si
è fuso il cervello].
Da quello scoppio cominciò la materia, lo spazio, cominciò a
scorrere il tempo, la luce, lo spaurimento delle stelle, delle galassie, le
grosse pietre come pianeti.
Ogni cosa ebbe fragorosamente [forse senza il minimo suono]
inizio con e da un’esplosione come non se ne erano mai viste prima
[letteralmente] e quasi certo come non se ne vedranno più dopo.
Per esistere bisogna esplodere, venir fuori d’un fiato o di
un botto e così, come pitoni mitologici, ci siamo fermati, ci siamo induriti la
pelle e, poi, bang!
becco sotto guscio
becco sotto guscio
bollicine contro tappo
lacrima da dotto
vapore intermittente per coperchio
fuoco d'artificio
vagito da urlo
Qui si esplode, per non implodere.
F. Alessandro Motta
mercoledì 28 gennaio 2015
Restiamo in casa
Il
cielo diviso è
proprio il libro giusto al momento giusto: “un bel giorno, ogni individuo
scruta a ritroso la propria vita: con compiacimento, con rassegnazione, con la
soddisfazione dell’autoinganno”. È un libro bello, ben scritto, con incastri
spaziotemporali superirusciti, con l’inganno dell’amore vero, con la delusione
per un futuro professionale che svanisce, con la storia che ci travolge, con la
descrizione della Terra dagli occhi del primo cosmonauta, con le cose piccole
di una ragazza di paese che va a vivere in città e ha paura di perdere il tram.
Con quella belle descrizioni degli stati d’animo di inquietudine e felicità che
vivono gli innamorati. Le poche pagine che mi mancano alla fine le sto
centellinando perché so che mi mancheranno sia Rita che Manfred e tutti gli
altri.
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Topipittori
mercoledì 21 gennaio 2015
Amore e nostalgia
«Bevvero vino bianco freddo, che mescolarono con l’acqua. Le
loro mani si sfiorarono, al momento di brindare. Tutto può ricominciare
daccapo, pensava Rita, e sempre di nuovo, con lui. Ora si conoscevano a tal
punto da poter essere reciprocamente sicuri, ma con un margine tale da poter
costituire sempre una reciproca sorpresa.»
mercoledì 14 gennaio 2015
La fortuna di scegliere un libro nuovo per la settimana
Ma quale vergogna letteraria! Alla fine Harry Potter si
rivelò il “libro rifugio” perfetto: divertente, interessante, con una certa
attenzione nel linguaggio, con un meccanismo di suspense ben congegnato e con
alcuni punti di divertimento, è stato il mio “libro più letto sotto le coperte”
in questa settimana. Finito il primo volume sono già passata al secondo
capitolo della serie e spero di mantenere l’interesse alto per tutti gli altri
e arrivare alla fine con soddisfazione. Vediamo intanto se La camera dei
segreti manterrà le aspettative per questa settimana…
giovedì 8 gennaio 2015
Libri per... la settimana
Diciamoci la verità, non sono poi così brava a scrivere
recensioni (ci ho provato, per anni, anni fa, ma forse il luogo non era quello
giusto, poi ci ho riprovato, ma…) è che non ho mai capito come si fa a citare
la frase giusta che ti fa capire che quel libro “beh, dai… non posso non
leggerlo!”, come si fa a ricordare tutti i precedenti scritti di
quell’autrice/autore che hanno davvero segnato un passaggio importante nella
tua vita di lettrice/lettore, e poi… riannodare il testo con i vari riferimenti
culturali e letterari, no, non lo so fare proprio.
E però io ho sottoscritto insieme ad un pugno di scalmanati
senza gloria un manifesto/dichiarazione d’intenti in cui dicevamo che
attraverso la recensione libraria si può dire qualcosa sulla società, che possiamo
criticare – nel senso più pieno del termine – ciò che ci circonda attraverso la
lente, bellissima, delle pagine scritte e pure ho lanciato in rete (sempre con
i soliti senza gloria, temporaneamente senza gloria, diciamo) un progetto di
rivista, e mò che fai? Te ne penti?
lunedì 5 gennaio 2015
Danza contemporanea | a | Barcellona | pg |
Di Labirinto 34 – le
tre giornate d'arte nate dall'efficace sinergia di Ossidi di Ferro e
Collettivo Flock – vi abbiamo già ampiamente detto. Quello che
forse non tutti sanno è che all'interno della rassegna uno spazio
importante è stato dedicato anche alla danza. Non pensate però alle
solite esibizioni da saggio scolastico o a ingessate coreografie da
balletto classico. Parliamo di danza contemporanea di ultima
generazione, libera, dirompente, viscerale, d'impatto. Protagonisti
della performance tre giovani danzatori barcellonesi-messinesi,
Damiano Bucca, Silvia Oteri e Giovanna Perdichizzi. Tre performer che
stanno attualmente mettendo a punto il loro stile frequentando i
corsi del Modem Studio presso Scenario Pubblico a Catania, un
nevralgico punto di riferimento nell'isola per le più aggiornate
tendenze della danza contemporanea di respiro europeo nonché
residenza fissa della Compagnia Zappalà, che tiene alto il nome
della Sicilia nel mondo.
La performance, eseguita
in una delle suggestive sale di Palazzo Calabrò nella giornata di
domenica 28 dicembre e replicata in diversi momenti della serata, ha
raccolto l'entusiasmo e il vivo interesse del pubblico barcellonese.
Non è certo facile per un danzatore avvezzo a palchi e strutture
adeguate ballare scalzo sul nudo e gelido pavimento di un'algida
stanza d'appartamento. Complicazione che tuttavia sembra non aver per
nulla scoraggiato i giovani performer che hanno regalato ai presenti
uno show intenso e coinvolgente, a partire dall'accurata selezione di
una colonna sonora onirico-atmosferica, alla qualità di una danza
fluida, energica, ben equilibrata nei vari momenti piano-forte, ad
una fisicità solida e presente che ha sfidato le leggi di gravità
correndo in verticale sulle pareti della sala nelle fasi più
concitate.
Esito quindi
assolutamente positivo per questo primo esperimento coreutico che, ci
auguriamo, sia solo l'inizio di una lunga serie di eventi che aprano
una nuova brillante stagione per la danza barcellonese. Noi di Ossidi
saremo sempre in prima linea per raccontarvela.
Marco Salanitri
(le foto sono di Salvo Bombara)
sabato 3 gennaio 2015
I labirinti della mente | l'inescrivibile
Col Collettivo Flock per Labirinto 34 abbiamo ben collaborato, come già in passato e come speriamo anche in futuro.
Come Ossidi, secondo la natura degli elementi che ci compongono, possiamo definirci non un gruppo di artisti, ma un gruppo di artistoidi o, preferisco, un collettivo artistoide. Ciò perché la maggior parte di noi arriva al gesto artistico attraverso percorsi non convenzionalmente tali: la critica letteraria, l'editoria, la danza, l'ingegneria, l'archeologia, la filosofia, la manualità artigiana, il guizzo, la parola. [nota: ampliare la definizione di Ossidi "collettivo d'intenti, ve(n)detta metropolitana" in "collettivo artistoide d'intenti, ve(n)detta metropolitana"]
Nel rispetto del progetto generale ci siamo domandati come dire la nostra a modo nostro sul tema. È stato epifanico - in un certo senso - giungere alla fine di un processo di associazioni di idee in flusso di coscienza [quanti giri di parole per non dire brainstorming] con la consapevolezza di possedere una certa dimestichezza coi concetti di labirinto e di limite, soprattutto se articolati insieme a quello di mente.
Nella foto che correda questo post potrete vedere il risultato del nostro operare in direzione di rendere visivamente un concetto: ciò che non può essere scritto, l'inescrivibile, appunto. Ha sospinto l'idea principale una lettura che fa parte del nostro bagaglio culturale, ovvero Memorie di un malato di nervi di Daniel Paul Schreber, Presidente della Corte di Appello di Dresda su finire del XIX secolo. È servito solo come start per poi lasciarci procedere senza più alcun riferimento diretto ad esso [per quanto nelle Memorie ricorra il tema dell'inescrivibilità coatta, dato che molti passaggi sono stati censurati dalla famiglia Schreber prima della pubblicazione dell'opera, ma non quello dell'inescrivibilità tout court].
Vi sono percorsi del corpo che non sempre devono essere intrapresi e, una volta inforcate alcune vie, non è detto che se ne riesca a venirne fuori, nel senso di avere il vocabolario per raccontarle ad altri all'infuori di noi. In ciò non vogliamo emettere nessun giudizio nel senso che ogni cosa deve essere necessariamente verbalizzata o stereotipata su carta, non è nostro interesse né intenzione. Non si può scrivere tutto poiché non si può davvero comprendere tutto o tradurre ogni cosa da una sensazione; un averla afferrata come attimo non sempre ci trova in possesso dei vocabolari di corrispondenze tra una cosa che è qui e che deve diventare una cosa lì. Il limite tra il per me e il per il mondo a volte è segnato da una profonda voragine che non è obbligo valicare [se mai fosse possibile].
Il fil rouge funto da filo di Arianna in gran parte del Labirinto, nell'Inescrivibile [titolo per sempre provvisorio dell'installazione] è il labirinto stesso che sovrasta la testa, l'occhio, la bocca, il corpo tutto. Perché in alcuni labirinti non c'è guida, dal momento che non tutti i labirinti servono per essere risolti con l'uscirvene e che, forse, quelli della mente o altri si risolvono restandovi dentro. Perché il valore del labirinto non può essere qualcosa che non gli appartiene, cioè l'uscita, il fuori che è già un altro luogo [come se il valore del piatto fosse il tavolo].
Certe volte è necessario [né bene né male] che le macchine da scrivere restino imballate col cellophane.
Nella foto che correda questo post potrete vedere il risultato del nostro operare in direzione di rendere visivamente un concetto: ciò che non può essere scritto, l'inescrivibile, appunto. Ha sospinto l'idea principale una lettura che fa parte del nostro bagaglio culturale, ovvero Memorie di un malato di nervi di Daniel Paul Schreber, Presidente della Corte di Appello di Dresda su finire del XIX secolo. È servito solo come start per poi lasciarci procedere senza più alcun riferimento diretto ad esso [per quanto nelle Memorie ricorra il tema dell'inescrivibilità coatta, dato che molti passaggi sono stati censurati dalla famiglia Schreber prima della pubblicazione dell'opera, ma non quello dell'inescrivibilità tout court].
Vi sono percorsi del corpo che non sempre devono essere intrapresi e, una volta inforcate alcune vie, non è detto che se ne riesca a venirne fuori, nel senso di avere il vocabolario per raccontarle ad altri all'infuori di noi. In ciò non vogliamo emettere nessun giudizio nel senso che ogni cosa deve essere necessariamente verbalizzata o stereotipata su carta, non è nostro interesse né intenzione. Non si può scrivere tutto poiché non si può davvero comprendere tutto o tradurre ogni cosa da una sensazione; un averla afferrata come attimo non sempre ci trova in possesso dei vocabolari di corrispondenze tra una cosa che è qui e che deve diventare una cosa lì. Il limite tra il per me e il per il mondo a volte è segnato da una profonda voragine che non è obbligo valicare [se mai fosse possibile].
Il fil rouge funto da filo di Arianna in gran parte del Labirinto, nell'Inescrivibile [titolo per sempre provvisorio dell'installazione] è il labirinto stesso che sovrasta la testa, l'occhio, la bocca, il corpo tutto. Perché in alcuni labirinti non c'è guida, dal momento che non tutti i labirinti servono per essere risolti con l'uscirvene e che, forse, quelli della mente o altri si risolvono restandovi dentro. Perché il valore del labirinto non può essere qualcosa che non gli appartiene, cioè l'uscita, il fuori che è già un altro luogo [come se il valore del piatto fosse il tavolo].
Certe volte è necessario [né bene né male] che le macchine da scrivere restino imballate col cellophane.
Filippo Alessandro Motta
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