giovedì 25 dicembre 2014

vi aspettiamo il 27|28|29 dicembre al Labirinto 34

e ora qualche passo
da parete a parete,
su per questi gradini
o giù per quelli,
e poi un po’ a sinistra,
se non a destra,
dal muro in fondo al muro
fino alla settima soglia,
da ovunque, verso ovunque
fino al crocevia,
dove convergono,
per poi disperdersi
le tue speranze, errori, dolori,
sforzi, propositi e nuove speranze.

Una via dopo l’altra,
ma senza ritorno.
Accessibile soltanto
ciò che sta davanti a te,
e laggiù, a mo’ di conforto,
curva dopo curva,
e stupore su stupore,
e veduta su veduta.
Puoi decidere
dove essere o non essere,
saltare, svoltare
pur di non farsi sfuggire.
Quindi di qui o di qua,
magari per di lì,
per istinto, intuizione,
per ragione, di sbieco,
alla cieca,
per scorciatoie intricate.
Attraversi infilate di file
di corridoi, di portoni,
in fretta, perché nel tempo
hai poco tempo,
da luogo a luogo
fino a moli ancora aperti,
dove c’è buio e incertezza
ma insieme chiarore, incanto
dove c’è gioia, benché il dolore
sia pressoché lì accanto
e altrove, qua e là,
in un altro luogo e ovunque
felicità nell’infelicità
come parentesi dentro parentesi,
e così sia
e d’improvviso un dirupo,
un dirupo, ma un ponticello,
un ponticello, ma traballante,
traballante, ma solo quello,
perché un altro non c’è.
Deve pur esserci un’uscita,
è più che certo.
Ma non tu la cerchi,
è lei che ti cerca,
è lei fin dall’inizio
che ti insegue,
e il labirinto
altro non è
se non la tua, finché è possibile,
la tua, finché è tua,
fuga, fuga

Labirinto
Wisława Szymborska

mercoledì 17 dicembre 2014

TENNIS, TOPOGRAFIA, TRIGONOMETRIA, TORNADO. Il cosmo matematico di DFW

Ithaca, New York, Philo e Urbana-Champaign, Illinois, Amherst, Massachusetts; Yaddo, New York, poi ancora Amherst e Urbana-Champaign; Tucson, Arizona, Boston, Massachusetts, Syracuse, New York, Bloomington, Illinois, e Los Angeles, California. David Foster Wallace è stato uno scrittore statunitense, ed ha vissuto in molte città in territori assai diversi degli USA: nato sulle dolci colline a nord di New York, cresciuto nel Midwest che sarà sempre casa sua, in tournée in tutti gli stati, ed in particolare nella colta New York, insegnante nelle università cosmopolite della West Coast. Da adolescente, era stato un promettente tennista, dotato della capacità di 'giocare a tutto campo', ovvero di tenere a mente in ogni momento le proprie coordinate, quelle della palla e dell'avversario, tenendo conto della variabile del vento (ci scrisse su il formidabile racconto di cui si parlerà in seguito), e di pensare al campo e alla vita intera come uno spazio matematico da coprire a colpi di racchetta; in un racconto scritto a ventidue anni, Piccoli animali senza espressione (aveva già scritto un romanzo a ventuno, La scopa del sistema), fa costruire alla sua protagonista mondi interi fatti di linee che compaiono graficamente sulla pagina scritta; per la sua tesi di laurea in letteratura inglese e filosofia scelse un argomento che sconfinava, in realtà, nel campo della matematica (la logica modale): questa acuta percezione vettoriale che ha caratterizzato la sua vita e nutrito la sua scrittura mi fa immaginare una linea che unisce le città in cui ha vissuto, che costituirebbe un poligono irregolare da cui si protendono lunghi segmenti (sulla East e sulla West Coast). Di questo tracciato, David Foster Wallace predilesse sempre il cuore, il suo amato Midwest dove trascorse infanzia, adolescenza e parecchi anni della giovinezza, ed in particolare lo stato dell'Illinois, che nell'immaginario wallaciano diviene lo spazio cartesiano originario, come racconta in Tennis Tv Trigonometria Tornado: “Il terreno, visto dall'alto, fa pensare decisamente ad una scacchiera: quadrati di una precisione maniacale di terra coltivata [..] tutta tagliata da strade asfaltate dritte che sembrano fatte con filo a piombo”. Questo territorio, geografico e immaginifico, diviene per lui la base (in senso metaforico ma forse anche letterale, ovvero base geometrica) di una poderosa immaginazione, capace di contemplare un numero elevatissimo di variabili e di giungere a grandezze inimmaginabili, esponenziali, infinite. Poté accadere così che la nostalgia di casa, negli anni dell'università nella collinosa Amherst, Massachusetts, rinfocolasse la passione per la matematica: “per uno del Midwest, la matematica del college produce un'evocazione catartica della nostalgia di casa. Io ero cresciuto in mezzo a vettori, rette, rette che intersecano rette, griglie” e ancora, che la cartesianità dell'orizzonte della cittadina natale Champaign, spazio piano, indifeso e percorribile, fosse sconvolta da un evento meteorologico devastante (e l'Illinois è realmente sede abituale di tali sconvolgimenti) il tornado che alla fine del detto racconto solleva l'autore, l'avversario, le reti del campo e la palla nel corso di una partita di tennis - e nessuno di loro sarà mai più lo stesso.
Ancora luoghi ben noti – la Boston dove DFW visse lunghi anni dopo la laurea, in preda ad una crisi creativa che lo costrinse a svolgere i lavori più disparati e nel frattempo accumulare idee, spunti, materiali per questo mastodontico singolare romanzo (oltre millequattrocento pagine nella prima edizione italiana) che lo sparerà come un proiettile nell'establishment letterario, facendo di lui uno scrittore noto in tutto il mondo – in Infinite Jest (Lo scherzo infinito, la traduzione è mia), ma qui la geografia locale, e quella mondiale, sono liberamente ricomposte e Messico, Canada e Stati Uniti fanno parte di un'unica entità politica, l'Organizzazione delle Nazioni dell'America del Nord (Organization of North American Nations), il cui acronimo è, allusivamente, O.N.A.N. mentre il territorio del nord est statunitense è diventato la grande discarica del Canada.


Ed è significativo che nel romanzo della maturità - che sarà anche il suo ultimo, pubblicato postumo, Il Re Pallido - la dimensione spaziale privilegiata sia quella del labirinto, in cui la possibilità (matematica) degenera in limite (fisico): ambientato nuovamente in Illinois, nella cittadina di Peoria, racconta quotidiana routine e avventurosi episodi delle vite di un gruppo di contabili impiegati nel Centro Controlli Regionale per il Midwest dell'Agenzia delle Entrate. La città è un assurdo urbanistico, circondata da una circonvallazione che vorrebbe essere scorrevole ed è invece mortalmente intasata, per i semafori, per le corsie ridotte in prossimità dei punti più trafficati, per il comportamento scorretto degli automobilisti; il Centro Controlli è un assurdo architettonico, porge il retro alla strada principale ed è costituito di due blocchi edilizi collegati tra loro solo da 'tunnel sopraelevati' in 'carbonato di vetronite verde' che li rende torridi d'estate e gelidi d'inverno, praticamente impraticabili, con l'edificio rettangolare suddiviso, in un solo piano, in gusci esagonali che seguono una imprevedibile planimetria radiale; le vicende biografiche degli impiegati, le più improbabili da associare all'attività ragionieristica (un'adolescente cresciuta in un ambiente assai degradato che si finge morta per sfuggire al brutale assassino della madre; uno studente universitario dedito alle droghe che perde il padre in un tragicomico incidente; un commercialista abilitato il cui talento segreto è la veggenza dei fatti, ovvero la chiaroveggenza; e si potrebbe continuare...). La condizione di romanzo pubblicato postumo pone una serie di questioni: l'(apparente) incongruità del libro vuole trasporre, in proiezione geometrica, quella della vita contemporanea? DFW voleva dare voce a quel dubbio che lo assillava da studente universitario, “che fosse vero il contrario di ciò che pensano i paranoici: e cioè che niente sia collegato a nient'altro” e che la vita fosse solo caos? Non ci è dato saperlo. Nel 2008 DFW lasciava questo sciocco e angusto pianeta, passando a noi lettori questo ed altri interrogativi, trovando la sua personale soluzione al gioco meraviglioso di variabili e possibilità. Così lo scherzo finisce.  

Loredana Di Pietro

mercoledì 10 dicembre 2014

"L'altra parte di ME" di Cristina Obber: un conforto per gli/le adolescenti

Ammetto una colpa, quella di essermi accostato alla lettura del romanzo di Cristina Obber con la spocchia del militante consumato che ha occhi e orecchie solo per le cose che appaiono immediatamente complesse.
Nonostante ciò – faccio mio e metto in pratica il consiglio dell'autrice di non dire “ormai”, ma “nonostante” - ho letto il libro, d'un fiato, restando sorpreso.
“Questo è un romanzo che andrebbe letto nelle scuole” ho pensato alla fine. Perché – e questa è la tesi - “L'altra parte di ME” di Obber potrebbe rappresentare un piccolo faro nel percorso tumultuoso della scoperta di sé, adolescenti. Una luce confortante che spazzi il profondo senso di solitudine che si prova nel cercare le parole per definirsi, nel trovare il coraggio di essere ciò che si è, di arrendersi all'ineluttabilità del dato di fatto, per ribaltare il rapporto tra noi e gli/le altri/e ed essere finalmente non sottoposti/e a giudizio, ma giudici.
La difficoltà, durante l'adolescenza, di comprendere la propria sessualità, il proprio orientamento sessuale, è maggiore in caso di omosessualità. Perché a quell'età è molto difficile che si abbiano parole e, quindi, concetti per definirsi. In un ambiente in cui l'eterosessualità è data per scontata qualunque altra forma di esistenza non è prevista, ancor prima che accettata. Siamo prive/i del vocabolario minimo per descrivere a noi stessi, prima ancora che agli altri/alle altre, chi siamo; non sappiamo tradurre in parole quei sentimenti che non siamo state/i educate/i a provare – l'amore omosessuale.
La mancanza di punti di riferimento, di modelli che permettano di innescare processi identificativi o emulativi – qualunque cosa andrebbe bene! - fa sì che le giovani lesbiche e i giovani gay siano costrette e costretti a procedere a tentoni, prive/i di paracadute e, quindi, molto più restii e ritrose ad aprirsi al mondo, se non attraverso forme alternative di relazioni che prevedano la presenza mediata del corpo, come, ad esempio, il mondo virtuale.
Nel romanzo sono presenti molti dei problemi con cui l'adolescente omosessuale spesso si trova a doversi confrontare; primo fra tutti il senso di colpa nei confronti dei nostri genitori: rappresentiamo, infatti, noi omosessuali, la delusione del progetto dei nostri genitori; un progetto legato al mondo in cui essi sono vissuti – non è una loro colpa –, regolato dalle norme del patriarcato e quindi: eterosessualità di stato, coppia stabile, matrimonio felice, riproduzione, educazione eterosessuale. Il processo riproduttivo del sistema dominante, insomma. Il progetto della madre di Francesca, la protagonista del romanzo, è chiaro quando racconta agli amici del fidanzato di Beatrice, l'altra figlia: «Valeria comincia a raccontare di Filippo, ma non del suo carattere introverso […]. Racconta del suo master, dell'azienda farmaceutica di famiglia e del suo prendersi cura dei capricci di Beatrice e del matrimonio all'orizzonte, e tutti convengono che un ragazzo così sia una grande fortuna» (p. 52). Lo smarrimento per un futuro non più prescritto – perché prima della gioia è lo smarrimento ad arrivare – lo vive anche Francesca nel momento in cui riflette sul fatto che «[...] senza principe azzurro il suo imminente futuro non avrà i contorni così nitidi che solo mezz'ora fa aveva immaginato». (p. 40).
Ma per fortuna Francesca ha Giulia ed è grazie al suo amore che trova la forza per raccontarsi anche ai genitori, perché l'amore aiuta a dire di sé agli altri dopo aver compiuto il difficile passo dell'interpretazione e dell'ammissione. Con l'aiuto di Giulia, tra gli alti e i bassi di una relazione tra adolescenti, Francesca affronta la paura dei genitori per l'occhio sociale, il loro bisogno di tenere nascosto che la figlia sia lesbica, il loro non nominare neppure questo fatto e, ancora, i loro tentativi di trovarne una giustificazione, una qualsiasi, ma una ragione esterna ai/alle loro figli/e, per allontanare da se stessi la responsabilità del fallimento del progetto riproduttivo.
E poi il mondo oltre i genitori, quello dei compagni di classe, delle amiche, del cyberbullismo, dello spasimante che, saputo che sei lesbica, assume il compito eroico di curarti per mezzo della sua virilità. Perché, e questo è un altro tema che ritorna nelle vite di molte e molti omosessuali, l'omosessualità è vissuta come mancanza: si è omosessuali per assenza di esperienze eterosessuali. Pensiero ingenuo e pericoloso che può sfociare in aberrazioni/casi limite come quelli degli stupri correttivi tribali.
Questi solo alcuni temi che ho riscontrato nel romanzo di Cristina Obber e, volutamente, tralascio di raccontarvi le parti più intense e positive, il dolce tremito dell'amore e il futuro tutto da costruire che si profila e le vite, la vita insieme, di Giulia e Francesca tra i gesti del quotidiano, la routine delle colazioni, il felice anonimato a cui molt* aspiriamo.

F. Alessandro Motta
di conforto
per adolescenti

sabato 29 novembre 2014

ripartenza

Buondì a tutte e tutti! Stiamo raccogliendo #recensioni per definire il nuovo, sfavillante, numero di #Capperi!
Tema del numero: il corpo/la corporeità
Rubriche: Mald'estro (poesia), Profondamentepensare (filosofia), Specchio in frantumi ovvero frammenti riflessivi (politica), ever green (classico), di-a-da-in-con-su-per-tra-fra (libro di, a, da, ecc., es, libro per appassionati, libro da viaggio ecc.), sottosale (cinema).
Recensioni: libri degli anni 2000 che abbiano come tema quello del corpo.
Dunque, basta indugiare!  Scegliete la rubrica che più vi piace oppure prendete un libro che vi ha colpiti e che parli in qualche modo di corpo/corporeità e scrivete!
Inviate le vostre recensioni a capperi.redazione@gmail.com con oggetto "rivista capperi".