mercoledì 13 febbraio 2013

Icaro

Di ali per il volo donne e uomini sono purtroppo sprovvisti, dato che il nostro regno è fatto di gravità. Fin dalla fanciullezza della nostra civiltà - o dalla sua già vecchiezza, per alcuni - il pensiero del Patriarca ci ha voluto inculcare il senso dell'impossibile, la paura per l'arditezza, la censura dell'osare. Il mito di Icaro ha rappresentato lo strumento arcaico per opporre l'ammonimento a non tentare di cambiare lo stato delle cose: dal labirinto preordinato non si può fuggire se non attraverso le sue stesse regole, trovandone l'uscita predeterminata, sempre che ci sia. Non ci è dato rivoluzionare il punto di vista, secondo il quale i piedi stanno sul suolo, ben piantati lì dalla massa del corpo educato al peso. Chi abbia provato a cercare [creare] una via alternativa, un moto differente e altro è finito per restare sconfitto; le ali di Icaro - hýbris contro l'ordine preordinato delle cose - si sono disciolte, troppo vicine al sole [la luce della ragione, della conoscenza, della riuscita]: per questo motivo ci siamo abituati a considerarlo un eroe negativo, un simbolo al contrario, un esempio folle da non seguire, per starcene buoni al posto che ci è stato assegnato.
Facciamo un gran torto al nostro eroe alato se lo biasimiamo per averci provato, per aver tentato di sollevarsi, elevarsi al di sopra delle sue possibilità [o delle possibilità che il mondo, il padre, gli dei gli avevano detto di avere] perché aveva constatato che le mura di quel labirinto avrebbero impedito l'espandersi dei differenti modi di essere al mondo che egli stesso rappresentava.
Un gran torto lo facciamo pure a noi nel considerarlo un eroe fallito, uno stolto arrogante e superbo, un giovane sconsiderato, perché tutti e tutte siamo Icaro in potenza; ciascuno di noi possiede gli strumenti per costruire le proprie ali, di piume, di carta, di ferro, di rametti o di ogni altro materiale adatto a farci spiccare il volo. Non è, in fondo, la materia ciò che qui conta; conta il desiderio.


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