mercoledì 17 novembre 2010

Novembre, 2010

Cosa sarebbe il film della nostra vita senza uno straccio di colonna sonora?
Ebbene, poiché non ci limitiamo agli stracci, abbiamo pensato di creare una rubrica ad hoc per sussurrarvi un possibile tema sonoro per quando viaggiate in treno con la fronte al finestrino e i pensieri altrove; per quando passeggiate in un parco e ogni cosa è così cinematografica che vi immaginate persino dove mettereste la macchina da presa; per quando siete assolutamente soli, per la sigaretta della buonanotte, per un pensiero fuggevole. Consideratelo un gesto di cura.

Ad ogni uscita, compreso il n.zero, troverete in finale un titoletto, Volevo essere Nick Hornby, e una lista di 10 brani musicali; con qualche probabilità l'autore/autrice della lista varierà d'uscita in uscita.
Avremo poi modo di inserire i brani in lista nel blog attraverso una playlist (il playerino) così da permettervi di leggerci e di sentirci pure!

(Questa è la nostra sfida del nuovo millennio: riuscire ad inserire 'sto palyerino senza l'aiuto di un informatico! help!)


volevo essere Nick Hornby


1 Bob Corn: Cold and Gold,
We don't need the outside

2 Roni Size: Brown paper bag,
New forms

3 The Chap: We'll see to your breakdown,
Well done Europe

4 Enrico Brizzi e n. 6: Bernhard Hartman,
Il pellegrino dalle braccia d'inchiostro

5 Cesare Basile: Closet meraviglia,
Tra il tuo corpo e la cena

6 The postal service: Such great heights,
Give up

7 Antony and the Johnson: My lady story,
I'm a bird now

8 Le loup garou:
Wipiti dance dance,
Wipiti dance dance

9 Don Settimo: Il vangelo di Totò,
Notte di mamma

10 Lali Puna:
Scary world theory,
Scary world theory



Nessun Confine

mercoledì 10 novembre 2010

Fenomenologia della pioggia o un millimetro di spessore

Plic stocastici sopra le nostre teste, case, strade.

Plic che si insinuano nelle fessure delle rocce, tra le radici emerse di ex boschi, tra le crepe dei muri delle case, antiche o vecchie o nuove.

Rigagnoli silenti o sferzate ventose che s’abbattono contro le facce e le facciate e lavano, certe volte, e corrodono, altre.

Acquazzone, pioggerella, lieve umidore, precipitazioni torrentizie, schiaffo naturale, ciclone, condizione definitiva e definitoria.

La pioggia, inzuppa villani, per malizia o per mera gravità, impregna ogni luogo di sé e lo ammorbidisce, sfaldando le pietre, illanguidendo i legami delle cose che, d’un tratto, si abbandonano alla caducità propria dei mortali e gli immobili si fanno mobili e, derive fangose discendono di una natura terribile e placida, vorticosa e placida, impetuosa e placida, rumorosa e placida; ché la Natura, dal suo punto di vista, non si cura.

E l’acqua che esonda, tracima, trabocca, rigurgita, vomita, esulta, si libera, non defluisce secondo le vie naturali – che noi abbiamo interrato e su cui abbiamo costruito palazzi – ma permane: nelle case, nelle colture, tra i mattoni che si spezzano, sopra le nostre teste bagnate da un’ineluttabile conseguenza.

Persino la terra s’allarga sotto ai nostri piedi e tenta di ingoiarci, pre-tumularci, poiché di noi s'è proprio scocciata, del nostro brulicare incurante, del nostro ammazzarci per un dominio che poca acqua può far scomparire. In fondo, viviamo incerti sopra un millimetro di spessore.


F. Alessandro Motta

lunedì 8 novembre 2010

Pozzanghera





... comincerò a volare verso il basso
e ancora più in giù verso il
basso,
verso le nuvole riflesse
e forse anche oltre.


(da La pozzanghera, W. Szymborska)





Alberta Dionisi

lunedì 1 novembre 2010

Rabbia

Un’intervista multipla, una vita raccontata da cinquantasei voci, le quali si intrecciano e sovrappongono come potrebbe avvenire quando tra amici si parla (e spesso si “sparla”) di qualcuno conosciuto da tutti. Cinquantasei voci che, se non fosse per il riepilogo finale, neanche ricorderesti al termine del romanzo, tanto si amalgamano bene nel tracciare una biografia al limite del mitologico. Un saggio sulla relatività, com’è inevitabile quando la medesima storia è narrata da persone diverse. Talmente diverse che, ad un certo punto, sembra quasi che non stiano davvero raccontando la stessa storia.

Rabbia racchiude tutti i caratteri dell’oralità e della biografia annullando le unità classiche di spazio e tempo. Come ogni biografia, anche questa è condita da numerosi aneddoti; aneddoti esaltati dalla dimensione del ricordo di un passato personale che quasi è nobilitato dal fatto di avervi partecipato Buster Casey, d’altronde” «un morto famoso non può girare per strada senza incontrare un milione di migliori amici che nella vita vera non ha mai conosciuto».

Arrivi a leggere più di metà romanzo pensando che gli intervistati siano degli esaltati mitomani, e poi inaspettatamente ogni evento trova il proprio spazio, uno spazio che però va al di là del tempo. Vitale per il romanzo è il concetto di tempo relativo, senza il quale non si potrebbe introdurre il tema della relatività dell’Io. è vitale ai fini della trama, è vitale ai fini del ritratto del protagonista che è presente sempre, nelle parole e nei ricordi, ma anche fisicamente presente a se stesso in più luoghi e in più tempi, come se fosse la massa responsabile della curvatura dello spaziotempo. E in questa realtà molteplicemente relativa coinvolti da un vortice di fatti - luoghi - tempi si è sostanzialmente liberi nello scegliere “se” e “a chi” credere. Nessuno mente, o tutti mentono. Ma in fondo «quando tutti cominciano a raccontare la stessa bugia, allora non è più una bugia. Non più


Mariafrancesca Scilipoti

tra le bugie