martedì 22 ottobre 2013

Tre anni di Ossidi...


Tre anni di Ossidi di Ferro li compiremo tra pochi giorni, tre anni intensi, belli, faticosi, tristi e difficili, emozionanti e pieni di soddisfazioni.

Tre anni non son molti, ma possono contenere moltissime cose.
Il nostro progetto iniziale è lì che ci guarda e ci stimola ad andare avanti, a fare tutte le belle cose che avevamo in mente di fare e che in parte stiamo facendo.



martedì 13 agosto 2013

Unni è scrittu, leggiri si poti.

Pianissimo è un progetto che ci ha subito colpiti, ci ha talmente colpiti che ci aveva colpiti ancora prima che esistesse un furgoncino di nome Leggìu. E quindi, non senza invidia, abbiamo contattato Filippo Nicosia per ospitare una tappa di questa libreria on the road. Ieri, 12 agosto 2013, Filippo, Serena, Maura e Leggìu sono approdati sul lungomare di Spinesante.

18.00: calma piatta. Nuvole, poca gente al mare, caldo appiccicoso, pochi passanti 
[qui si mette male e si fa una brutta figura…]

18.30: Emanuele, che con cura e passione ha organizzato insieme ad altri lettori del circolo Arci Città Futura un reading sul tema della salute mentale, inizia a leggere ad alta voce 
[dai, che ci si sblocca un po’!]

E così comincia la serata, bella, spontanea e a tratti disorganizzata. Tanti titoli belli sul banco, tanti sorrisi aperti sulle nostre facce e tante chiacchiere.
Dice che in Italia si legge poco, si vende poco ma si scrive molto, la scommessa di una libreria itinerante e di iniziative come quella di ieri sera sul lungomare è rendere la lettura un fatto spontaneo, un atto di condivisione e di socialità.


giovedì 14 marzo 2013

Esercizi di stile


Martedì 12 marzo alle ore 18,00 ci siamo ritrovate e ritrovati a La Feltrinelli di Catania per un altro appuntamento del nostro Tè Letterario. In quell'occasione abbiamo parlato di Esercizi di stile  di Raymond Queneau. Parlare di un libro del genere significa riuscire a parlare dello spirito che sottende alle trasformazioni da equilibrista che l'autore è riuscito ad applicare a un breve raccontino descrittivo alquanto banale nella sua forma di "Notazione", come teso zero a cui imprimere le spinte evolutive della creatività del linguaggio.



mercoledì 13 febbraio 2013

Icaro

Di ali per il volo donne e uomini sono purtroppo sprovvisti, dato che il nostro regno è fatto di gravità. Fin dalla fanciullezza della nostra civiltà - o dalla sua già vecchiezza, per alcuni - il pensiero del Patriarca ci ha voluto inculcare il senso dell'impossibile, la paura per l'arditezza, la censura dell'osare. Il mito di Icaro ha rappresentato lo strumento arcaico per opporre l'ammonimento a non tentare di cambiare lo stato delle cose: dal labirinto preordinato non si può fuggire se non attraverso le sue stesse regole, trovandone l'uscita predeterminata, sempre che ci sia. Non ci è dato rivoluzionare il punto di vista, secondo il quale i piedi stanno sul suolo, ben piantati lì dalla massa del corpo educato al peso. Chi abbia provato a cercare [creare] una via alternativa, un moto differente e altro è finito per restare sconfitto; le ali di Icaro - hýbris contro l'ordine preordinato delle cose - si sono disciolte, troppo vicine al sole [la luce della ragione, della conoscenza, della riuscita]: per questo motivo ci siamo abituati a considerarlo un eroe negativo, un simbolo al contrario, un esempio folle da non seguire, per starcene buoni al posto che ci è stato assegnato.
Facciamo un gran torto al nostro eroe alato se lo biasimiamo per averci provato, per aver tentato di sollevarsi, elevarsi al di sopra delle sue possibilità [o delle possibilità che il mondo, il padre, gli dei gli avevano detto di avere] perché aveva constatato che le mura di quel labirinto avrebbero impedito l'espandersi dei differenti modi di essere al mondo che egli stesso rappresentava.
Un gran torto lo facciamo pure a noi nel considerarlo un eroe fallito, uno stolto arrogante e superbo, un giovane sconsiderato, perché tutti e tutte siamo Icaro in potenza; ciascuno di noi possiede gli strumenti per costruire le proprie ali, di piume, di carta, di ferro, di rametti o di ogni altro materiale adatto a farci spiccare il volo. Non è, in fondo, la materia ciò che qui conta; conta il desiderio.


Ossidi

venerdì 25 gennaio 2013

Tre uomini in barca (per non parlar del cane)

Tre uomini – J., George, Harris – e un cane – Montmorency – discutono (il cane un po' meno, discute, ma obietta assai) su come porre rimedio alla gravosità del vivere quotidiano, alle noie, alle fatiche del lavoro, alle molte malattie che li affliggono. J., voce narrante, è quello con le malattie ipotizzate che si abbandona facilmente alla filosofia e alla visione letteraria del mondo. George è quello che dorme in banca dalle otto alle due, ogni giorno, per lavoro. Harris è il pratico, il rude bevitore di whisky scozzese che non si lascia irretire da nessun pensiero immateriale. Montmorency è un cane un po' carogna e anche un po' vile. 


giovedì 24 gennaio 2013

Quaderno Millimetrato


Sai, l'ultima parte del giorno, trascrivo. Ora ti so 
in piccola cornice. Era una compagnia 
disordinata il tuo sorriso, madre. Luogo minimo. 
Transitorio. Ho difficoltà di mani a trascinarti 
qui. Vive così poco l'erba a casa mia. I petali 
restano nel bicchiere, la direzione degli occhi, 
sui rovi cade. Qui ti vorrei, nome e indirizzo 
precisi, equivoci a scansare. Diventa la morte 
uno scompartimento d'addii. Una frolla 
abitudine senza vita. E del tuo dolore in scena. 
Sul divano, io. Te. Le spalle tagliate. Restando





Non sono un poeta né un poesologo e credo che la poesia possa essere di-spiegata soltanto dalla poesia, ché un sapore può essere compreso solo dal senso del gusto. Tuttavia, oggi – e forse solo adesso – vorrei cimentarmi in una lettura personale e non rispondente al vero del Quaderno millimetrato di Dorinda Di Prossimo; per il sentimento immediato di confidenza buona che mi ha suscitato l'autrice non appena incontrata, per la pacificazione che mi ha donato sentirla leggere le sue poesie, per averle lette a mia volta e averne tratto il senso del giorno dopo, quello che torna alla mente come il sentore di qualcosa che ha contato, lasciando un segno o un segnale. 

Il quaderno è millimetrato perché il nostro corpo che s'avanza nello spazio del tempo è così prezioso da necessitare esattezza, quella di ogni nostro rifugio che per essere tale deve essere assolutamente definito, delimitato, come le tasche per le mani che sanno dove cominciano, dove finiscono, fin quanto in fondo è consentito immergersi. 

Appare, immediata, la vita totale di una donna che vive da sola [o così a me è parso, come un discorso a uno], nella casa dei piccoli gesti quotidiani, la polpa del caffè, la colletta della nicotina, gli orecchini e qualche gioiello della madre, scorci da cui allo sguardo degli occhi rimbalza in eco il ricordo. E di ricordi – ricordi dell'ora, del prima e del prima adesso e qui – dove una donna si specchia e si riflette una bambina avvolta dalla grande vestaglia della madre – ché il freddo dei rifugi è sempre stato il caro prezzo delle minute libertà. E i timori in sospensione nell'atmosfera lattiginosa di un'ora tarda o presta, purché sia l'immobile momento del giorno in cui tutti ancora dormono e lei sussurra e ti racconta senza fronzoli [ma circondata di qualche fronzolo tintinnante] cosa è quell'istante, cosa è il suo corpo adulto, contratto, sensuale di seta del fruscio così flebile che esiste immaginato. E il fastidio per un vicinato omologante e legislatore. E il dialogo franco col padre poeta di presepi e la madre dagli appunti come punture d'ago. E un amore sconfinato, che s'arresta un millimetro prima di finire.


F. Alessandro Motta

mercoledì 23 gennaio 2013

Body Art, Don De Lillo


Titolo originale: The Body Artist [!]





“So, [ ] beauty remains in the impossibilities of the body” 
[Beauty, Einsturzende Neubauten] 










improvvisamente il rumore di un corpo che si muove nello spazio, un altro da noi 
- era inevitabile, lo sai -
e in un istante di assoluta lucidità una ghiandaia azzurra è lì fuori, mi guarda, guarda me che 
sono in questa casa, tutti i gesti che servono e non servono, e io so di esistere perché c’è qualcosa lì fuori che ricambia lo sguardo. ma cosa? «L'antagonista, ossia “la realtà che ricambia lo sguardo”, non è altro, in definitiva, che la morte». [Y.Mishima, Sole e Acciaio]


[...] 

tu ora non sei più, ma nella stanza vuota in fondo al corridoio Lui, seduto sul letto
la mia voce, i tuoi gesti, la tua voce - dove sei? - la tua voce
un vocabolario ripescato da un'alluvione
il gonfiore umido di un’amnesia
una radio nella stanza accanto che trasmette un esilio sconfinato
- ed io qui con lui, in ascolto

ma il suo corpo, soprattutto, il suo corpo di uomo-bambino
il suo corpo già dato è lo spazio che lo accoglie dilatandosi
una labilità di presenza fisica che bisognerebbe dargli un nome per tenerlo qui
un nome qualsiasi solo per resistere al disfacimento

catastrofe senza narrazione, qualcosa che viene prima del linguaggio
la parola per chiaro di luna è chiaro di luna 
qualcosa che non accade, una stupefazione dispiegata dinanzi all'urlo del mondo
al non-come-se delle cose
che se ti capitasse di cercarlo lungo strade deserte, attraverso campi sterminati di mirtilli, lontano, potresti vederlo capovolto come un occhio prima che la mente intervenga
qualcosa sta succedendo, è successo, succederà

poi succede che qualcosa si rompe e comincio a rispondere al telefono con la sua voce
ora che lui non è più

[...] 

ciò che resta è il mio corpo
lo scenario della disfatta, l'estenuante campo di battaglia dove tornano i generali all'alba di ogni sconfitta, una cosa bella e problematica
dopo che ve ne siete andati, ora che il mio corpo è la pellicola, è ciò che resta nel distacco esatto, lento, inesorabile di un adesivo, l’avanzo che opprimo e che mi opprime
e questa è l’arte, forse 
tutto ciò che faccio al mio corpo è riduzione e rimozione - tutti i miei gesti meccanici -
è dare narrazione all'esistenza, qualcosa che è l’esistenza stessa, solchi profondi che scandiscono 

il prima-adesso-dopo 

eliminare i residui organici / rendersi trasparenti / tabula rasa 

e l’arte del corpo - ovvero - il corpo dell’artista
il mio. 


Riccardo Bolo

in attesa del n. 2 di Capperi! 

martedì 22 gennaio 2013

Identità Mutanti


Dalla piega alla piaga: esseri delle contaminazioni contemporanee





«Come possiamo parlare del corpo? E innanzitutto,
bisogna parlare di un corpo o di molteplici corpi?»
Roland Barthes


Un viaggio nell’arte del corpo estremo che ha come mèta la ridefinizione del concetto di identità. Un viaggio che ha inizio con l’umano e che transita fino alle estreme sponde del postumanesimo. Da Wiener Aktionismus a Marina Abramovic, da Vito Acconci a Gina Pane, il corpo che qui viene messo a nudo, lungi dall’essere mero oggetto di rappresentazione, è esso stesso opera d’arte. Territorio dell’ossessione identitaria, campo di sperimentazione, espressione del limite costantemente superabile e superato.


Quella di Francesca Alfano Miglietti è una scrittura concitata, a tratti vertiginosa. La discesa nelle viscere rimane un’esclusiva degli artisti: l’autrice ne svela gli altari, solleva questioni. Il suo è uno schiudere finestre su vedute da grattacieli altissimi. Dalla Body Art al Post-Human, il lettore è scaraventato su scenari artistici segnati dal desiderio di riappropriazione e d'incorporazione del proprio corpo e del corpo proprio al campo dell'arte. 

Dal Korper al Leib
Dal corpo alla carne

Da un ripensamento del corpo può muovere un ripensamento dell’(e) identità. Identità sessuale, culturale, etnica. Identità che nell’era del Gestell è anche, inevitabilmente, identità tecnologica. Identità che laddove giunga ad essere percepita come trappola induce all’estremo tentativo di riconcettualizzare l’umano. 

FAM ci mostra il corpo degli artisti presentandocelo, a tratti, come una carne, ma senza esaurirne la concettualità. Proprio questa invece potrebbe essere la chiave di volta per passare dalla chiusura anestetizzante del corpo biopolitico alla contaminazione che caratterizza il corpo incarnato che siamo. Solo concependo il corpo come una carne - tessuto connettivo del mondo, nell’accezione di Merleau-Ponty - e muovendosi nello spazio aperto dalla reversibilità del sensibile carnale (quel diastema che è spazio intermedio tra senziente e sentito), l’artista può porsi nella condizione di saldare il suo debito di creatività nei confronti del mondo. Poiché la presenza del mondo è «presenza della sua carne alla mia carne». 


Da una metafisica del corpo a un’ontologia del sentire.



Una riflessione - che ad alcuni potrà sembrare un po’ ardita - ci accompagna alla fine di questo viaggio. Mettendo in crisi tutto ciò che per secoli l’ha garantita - ossia i canoni classici della bellezza intesa come unità, coerenza, armonia - l’arte del corpo si pone a denuncia e testimonianza della disarmonia e della frammentarietà che caratterizza il nostro mondo. Al punto che potremmo, accogliendo un suggerimento che sembra darci la stessa autrice, riconoscerle una precisa funzione resistenziale. Non credo di allontanarmi troppo dalle intenzioni di alcuni degli artisti in questione nell’affermare che, per il fatto di riflettere senza concessioni e di riportare alla superficie ciò che si vorrebbe dimenticare o celare, l’arte del corpo estremo riesce - per usare le parole di Adorno - «a far parlare ciò che l’ideologia nasconde» [T.W. Adorno, Note sulla letteratura].





«Lotto contro un’identità unica e unilaterale. 
Amo le identità multiple, le identità nomadi»
Orlan



Azzurra Sottosanti

in attesa del n. 2 di Capperi!