Dalla
piega alla piaga: esseri delle contaminazioni contemporanee
«Come possiamo parlare del corpo? E innanzitutto,
bisogna parlare di un corpo o di molteplici corpi?»
Roland Barthes
Un viaggio nell’arte del corpo estremo che ha come mèta la ridefinizione del concetto di identità. Un viaggio che ha inizio con l’umano e che transita fino alle estreme sponde del postumanesimo. Da Wiener Aktionismus a Marina Abramovic, da Vito Acconci a Gina Pane, il corpo che qui viene messo a nudo, lungi dall’essere mero oggetto di rappresentazione, è esso stesso opera d’arte. Territorio dell’ossessione identitaria, campo di sperimentazione, espressione del limite costantemente superabile e superato.
Quella di Francesca Alfano Miglietti è una scrittura concitata, a tratti vertiginosa. La discesa nelle viscere rimane un’esclusiva degli artisti: l’autrice ne svela gli altari, solleva questioni. Il suo è uno schiudere finestre su vedute da grattacieli altissimi. Dalla Body Art al Post-Human, il lettore è scaraventato su scenari artistici segnati dal desiderio di riappropriazione e d'incorporazione del proprio corpo e del corpo proprio al campo dell'arte.
Dal Korper al Leib.
Dal corpo alla carne.
Da un ripensamento del corpo può muovere un ripensamento dell’(e) identità. Identità sessuale, culturale, etnica. Identità che nell’era del Gestell è anche, inevitabilmente, identità tecnologica. Identità che laddove giunga ad essere percepita come trappola induce all’estremo tentativo di riconcettualizzare l’umano.
FAM ci mostra il corpo degli artisti presentandocelo, a tratti, come una carne, ma senza esaurirne la concettualità. Proprio questa invece potrebbe essere la chiave di volta per passare dalla chiusura anestetizzante del corpo biopolitico alla contaminazione che caratterizza il corpo incarnato che siamo. Solo concependo il corpo come una carne - tessuto connettivo del mondo, nell’accezione di Merleau-Ponty - e muovendosi nello spazio aperto dalla reversibilità del sensibile carnale (quel diastema che è spazio intermedio tra senziente e sentito), l’artista può porsi nella condizione di saldare il suo debito di creatività nei confronti del mondo. Poiché la presenza del mondo è «presenza della sua carne alla mia carne».
Da una metafisica del corpo a un’ontologia del sentire.
Una riflessione - che ad alcuni potrà sembrare un po’ ardita - ci accompagna alla fine di questo viaggio. Mettendo in crisi tutto ciò che per secoli l’ha garantita - ossia i canoni classici della bellezza intesa come unità, coerenza, armonia - l’arte del corpo si pone a denuncia e testimonianza della disarmonia e della frammentarietà che caratterizza il nostro mondo. Al punto che potremmo, accogliendo un suggerimento che sembra darci la stessa autrice, riconoscerle una precisa funzione resistenziale. Non credo di allontanarmi troppo dalle intenzioni di alcuni degli artisti in questione nell’affermare che, per il fatto di riflettere senza concessioni e di riportare alla superficie ciò che si vorrebbe dimenticare o celare, l’arte del corpo estremo riesce - per usare le parole di Adorno - «a far parlare ciò che l’ideologia nasconde» [T.W. Adorno, Note sulla letteratura].
«Lotto contro un’identità unica e unilaterale.
Amo le identità multiple, le identità nomadi»
Orlan
in attesa del n. 2 di Capperi!
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