Il
cielo diviso è
proprio il libro giusto al momento giusto: “un bel giorno, ogni individuo
scruta a ritroso la propria vita: con compiacimento, con rassegnazione, con la
soddisfazione dell’autoinganno”. È un libro bello, ben scritto, con incastri
spaziotemporali superirusciti, con l’inganno dell’amore vero, con la delusione
per un futuro professionale che svanisce, con la storia che ci travolge, con la
descrizione della Terra dagli occhi del primo cosmonauta, con le cose piccole
di una ragazza di paese che va a vivere in città e ha paura di perdere il tram.
Con quella belle descrizioni degli stati d’animo di inquietudine e felicità che
vivono gli innamorati. Le poche pagine che mi mancano alla fine le sto
centellinando perché so che mi mancheranno sia Rita che Manfred e tutti gli
altri.
mercoledì 28 gennaio 2015
Restiamo in casa
Etichette:
beni comuni,
Christa Wolf,
Colapesce,
Corraini,
diadainconsupertrafra,
Donzelli,
e/o,
Einaudi,
Harry Potter,
lasettimana,
Murakami Haruki,
saggine,
Topipittori
mercoledì 21 gennaio 2015
Amore e nostalgia
«Bevvero vino bianco freddo, che mescolarono con l’acqua. Le
loro mani si sfiorarono, al momento di brindare. Tutto può ricominciare
daccapo, pensava Rita, e sempre di nuovo, con lui. Ora si conoscevano a tal
punto da poter essere reciprocamente sicuri, ma con un margine tale da poter
costituire sempre una reciproca sorpresa.»
mercoledì 14 gennaio 2015
La fortuna di scegliere un libro nuovo per la settimana
Ma quale vergogna letteraria! Alla fine Harry Potter si
rivelò il “libro rifugio” perfetto: divertente, interessante, con una certa
attenzione nel linguaggio, con un meccanismo di suspense ben congegnato e con
alcuni punti di divertimento, è stato il mio “libro più letto sotto le coperte”
in questa settimana. Finito il primo volume sono già passata al secondo
capitolo della serie e spero di mantenere l’interesse alto per tutti gli altri
e arrivare alla fine con soddisfazione. Vediamo intanto se La camera dei
segreti manterrà le aspettative per questa settimana…
giovedì 8 gennaio 2015
Libri per... la settimana
Diciamoci la verità, non sono poi così brava a scrivere
recensioni (ci ho provato, per anni, anni fa, ma forse il luogo non era quello
giusto, poi ci ho riprovato, ma…) è che non ho mai capito come si fa a citare
la frase giusta che ti fa capire che quel libro “beh, dai… non posso non
leggerlo!”, come si fa a ricordare tutti i precedenti scritti di
quell’autrice/autore che hanno davvero segnato un passaggio importante nella
tua vita di lettrice/lettore, e poi… riannodare il testo con i vari riferimenti
culturali e letterari, no, non lo so fare proprio.
E però io ho sottoscritto insieme ad un pugno di scalmanati
senza gloria un manifesto/dichiarazione d’intenti in cui dicevamo che
attraverso la recensione libraria si può dire qualcosa sulla società, che possiamo
criticare – nel senso più pieno del termine – ciò che ci circonda attraverso la
lente, bellissima, delle pagine scritte e pure ho lanciato in rete (sempre con
i soliti senza gloria, temporaneamente senza gloria, diciamo) un progetto di
rivista, e mò che fai? Te ne penti?
lunedì 5 gennaio 2015
Danza contemporanea | a | Barcellona | pg |
Di Labirinto 34 – le
tre giornate d'arte nate dall'efficace sinergia di Ossidi di Ferro e
Collettivo Flock – vi abbiamo già ampiamente detto. Quello che
forse non tutti sanno è che all'interno della rassegna uno spazio
importante è stato dedicato anche alla danza. Non pensate però alle
solite esibizioni da saggio scolastico o a ingessate coreografie da
balletto classico. Parliamo di danza contemporanea di ultima
generazione, libera, dirompente, viscerale, d'impatto. Protagonisti
della performance tre giovani danzatori barcellonesi-messinesi,
Damiano Bucca, Silvia Oteri e Giovanna Perdichizzi. Tre performer che
stanno attualmente mettendo a punto il loro stile frequentando i
corsi del Modem Studio presso Scenario Pubblico a Catania, un
nevralgico punto di riferimento nell'isola per le più aggiornate
tendenze della danza contemporanea di respiro europeo nonché
residenza fissa della Compagnia Zappalà, che tiene alto il nome
della Sicilia nel mondo.
La performance, eseguita
in una delle suggestive sale di Palazzo Calabrò nella giornata di
domenica 28 dicembre e replicata in diversi momenti della serata, ha
raccolto l'entusiasmo e il vivo interesse del pubblico barcellonese.
Non è certo facile per un danzatore avvezzo a palchi e strutture
adeguate ballare scalzo sul nudo e gelido pavimento di un'algida
stanza d'appartamento. Complicazione che tuttavia sembra non aver per
nulla scoraggiato i giovani performer che hanno regalato ai presenti
uno show intenso e coinvolgente, a partire dall'accurata selezione di
una colonna sonora onirico-atmosferica, alla qualità di una danza
fluida, energica, ben equilibrata nei vari momenti piano-forte, ad
una fisicità solida e presente che ha sfidato le leggi di gravità
correndo in verticale sulle pareti della sala nelle fasi più
concitate.
Esito quindi
assolutamente positivo per questo primo esperimento coreutico che, ci
auguriamo, sia solo l'inizio di una lunga serie di eventi che aprano
una nuova brillante stagione per la danza barcellonese. Noi di Ossidi
saremo sempre in prima linea per raccontarvela.
Marco Salanitri
(le foto sono di Salvo Bombara)
sabato 3 gennaio 2015
I labirinti della mente | l'inescrivibile
Col Collettivo Flock per Labirinto 34 abbiamo ben collaborato, come già in passato e come speriamo anche in futuro.
Come Ossidi, secondo la natura degli elementi che ci compongono, possiamo definirci non un gruppo di artisti, ma un gruppo di artistoidi o, preferisco, un collettivo artistoide. Ciò perché la maggior parte di noi arriva al gesto artistico attraverso percorsi non convenzionalmente tali: la critica letteraria, l'editoria, la danza, l'ingegneria, l'archeologia, la filosofia, la manualità artigiana, il guizzo, la parola. [nota: ampliare la definizione di Ossidi "collettivo d'intenti, ve(n)detta metropolitana" in "collettivo artistoide d'intenti, ve(n)detta metropolitana"]
Nel rispetto del progetto generale ci siamo domandati come dire la nostra a modo nostro sul tema. È stato epifanico - in un certo senso - giungere alla fine di un processo di associazioni di idee in flusso di coscienza [quanti giri di parole per non dire brainstorming] con la consapevolezza di possedere una certa dimestichezza coi concetti di labirinto e di limite, soprattutto se articolati insieme a quello di mente.
Nella foto che correda questo post potrete vedere il risultato del nostro operare in direzione di rendere visivamente un concetto: ciò che non può essere scritto, l'inescrivibile, appunto. Ha sospinto l'idea principale una lettura che fa parte del nostro bagaglio culturale, ovvero Memorie di un malato di nervi di Daniel Paul Schreber, Presidente della Corte di Appello di Dresda su finire del XIX secolo. È servito solo come start per poi lasciarci procedere senza più alcun riferimento diretto ad esso [per quanto nelle Memorie ricorra il tema dell'inescrivibilità coatta, dato che molti passaggi sono stati censurati dalla famiglia Schreber prima della pubblicazione dell'opera, ma non quello dell'inescrivibilità tout court].
Vi sono percorsi del corpo che non sempre devono essere intrapresi e, una volta inforcate alcune vie, non è detto che se ne riesca a venirne fuori, nel senso di avere il vocabolario per raccontarle ad altri all'infuori di noi. In ciò non vogliamo emettere nessun giudizio nel senso che ogni cosa deve essere necessariamente verbalizzata o stereotipata su carta, non è nostro interesse né intenzione. Non si può scrivere tutto poiché non si può davvero comprendere tutto o tradurre ogni cosa da una sensazione; un averla afferrata come attimo non sempre ci trova in possesso dei vocabolari di corrispondenze tra una cosa che è qui e che deve diventare una cosa lì. Il limite tra il per me e il per il mondo a volte è segnato da una profonda voragine che non è obbligo valicare [se mai fosse possibile].
Il fil rouge funto da filo di Arianna in gran parte del Labirinto, nell'Inescrivibile [titolo per sempre provvisorio dell'installazione] è il labirinto stesso che sovrasta la testa, l'occhio, la bocca, il corpo tutto. Perché in alcuni labirinti non c'è guida, dal momento che non tutti i labirinti servono per essere risolti con l'uscirvene e che, forse, quelli della mente o altri si risolvono restandovi dentro. Perché il valore del labirinto non può essere qualcosa che non gli appartiene, cioè l'uscita, il fuori che è già un altro luogo [come se il valore del piatto fosse il tavolo].
Certe volte è necessario [né bene né male] che le macchine da scrivere restino imballate col cellophane.
Nella foto che correda questo post potrete vedere il risultato del nostro operare in direzione di rendere visivamente un concetto: ciò che non può essere scritto, l'inescrivibile, appunto. Ha sospinto l'idea principale una lettura che fa parte del nostro bagaglio culturale, ovvero Memorie di un malato di nervi di Daniel Paul Schreber, Presidente della Corte di Appello di Dresda su finire del XIX secolo. È servito solo come start per poi lasciarci procedere senza più alcun riferimento diretto ad esso [per quanto nelle Memorie ricorra il tema dell'inescrivibilità coatta, dato che molti passaggi sono stati censurati dalla famiglia Schreber prima della pubblicazione dell'opera, ma non quello dell'inescrivibilità tout court].
Vi sono percorsi del corpo che non sempre devono essere intrapresi e, una volta inforcate alcune vie, non è detto che se ne riesca a venirne fuori, nel senso di avere il vocabolario per raccontarle ad altri all'infuori di noi. In ciò non vogliamo emettere nessun giudizio nel senso che ogni cosa deve essere necessariamente verbalizzata o stereotipata su carta, non è nostro interesse né intenzione. Non si può scrivere tutto poiché non si può davvero comprendere tutto o tradurre ogni cosa da una sensazione; un averla afferrata come attimo non sempre ci trova in possesso dei vocabolari di corrispondenze tra una cosa che è qui e che deve diventare una cosa lì. Il limite tra il per me e il per il mondo a volte è segnato da una profonda voragine che non è obbligo valicare [se mai fosse possibile].
Il fil rouge funto da filo di Arianna in gran parte del Labirinto, nell'Inescrivibile [titolo per sempre provvisorio dell'installazione] è il labirinto stesso che sovrasta la testa, l'occhio, la bocca, il corpo tutto. Perché in alcuni labirinti non c'è guida, dal momento che non tutti i labirinti servono per essere risolti con l'uscirvene e che, forse, quelli della mente o altri si risolvono restandovi dentro. Perché il valore del labirinto non può essere qualcosa che non gli appartiene, cioè l'uscita, il fuori che è già un altro luogo [come se il valore del piatto fosse il tavolo].
Certe volte è necessario [né bene né male] che le macchine da scrivere restino imballate col cellophane.
Filippo Alessandro Motta
Iscriviti a:
Post (Atom)