Sono due le mappe delle stelle
dell'ultimo film di Cronenberg Maps to the stars (2014): le vediamo,
all'inizio e alla fine, accompagnare i titoli di testa e di coda. Bisogna
guardarle attentamente per vedere che sono diverse – la prima, virata in blu
come una vera carta astronomica, è una cartina stradale della città di Beverly
Hills, residenza eletta dell'ultimo Olimpo dell'immaginario popolare
contemporaneo – quello delle stelle del cinema; l'altra, raffigurazione
cartografica di alcune costellazioni, è quindi una mappa delle stelle vere.
Vero e falso accostati, mescolati, confusi fino a non essere più distinguibili:
è un tema sotteso a molte opere del regista canadese. Qui però l'impossibilità
non riguarda la sola percezione dell'individuo, come già in Crash (1996)
o in Spider (2002), ritratti della devianza e della follia, bensì
quella di un'intera società: che nelle intenzioni di Cronenberg non è poi così
diversa dalla nostra.
martedì 26 maggio 2015
mercoledì 13 maggio 2015
#MaceroNo 15-16-17 Maggio a Catania
Ecco il programma definitivo (?) di #MaceroNo di quest'anno. Sapete benissimo che le cose definitive (!) ci vanno strette e ci mettono ansia, per cui aspettatevi un coup de théâtre che possa smarrirvi in mezzo a un migliaio di libri, a musica, cibo, dibattiti, bella gente!
Suvvia, vi aspettiamo tutte e tutti venerdì 15 Maggio dalle ore 17.00 per tre giorni da vivere assieme.
Suvvia, vi aspettiamo tutte e tutti venerdì 15 Maggio dalle ore 17.00 per tre giorni da vivere assieme.
lunedì 4 maggio 2015
il Maggio di Ossidi
Un mese intenso che ci farà divertire!
Il 9 alle 19.00 ci incontriamo al Perditempo con gli in-ossidabili lettori e lettrici per i nostri "Esercizi di stile"
Il 14, il 21 e il 28 saremo alla Biblioteca Comunale di Santa Lucia per il percorso di lettura "Curiosi di natura"
Il 15, il 16 e il 17 per tre giornate aderiamo alla campagna #MaceroNo, ci trovate in Via Sant'Elena 40 a Catania, alla sede di Catania Bene Comune
Il 22 incontriamo Caterina Pastura e Anita Magno della casa editrice Mesogea per un "Aperitivo con il sultano" al Perditempo
Il 27 ultimo incontro del progetto "Nati per leggere" alla Biblioteca Oasi
E a giugno...
giovedì 30 aprile 2015
L'olivo e l'olivastro
È quasi difficile seguire l'effluvio d'intimità
che è in questo libro di Vincenzo Consolo. Intimità tesa, traboccante
dell'idea che ricordare è un salto troppo in alto per atterrare senza farsi
male.
L'olivo e l'olivastro inizia con un
abbandono, cioè quello di Gibellina, piccolo paesino Siciliano in cui il
protagonista è nato. L'abbandono, che è poi solo un recalcitrante fuggire, un
levarsi dal manto di miseria che ricopre il paese dopo il terremoto, è seguito
da un viaggio in treno, che piano risale la penisola, e nel suo risalire,
scorre tracciando quasi un solco nella memoria. Tale squarcio è ferita da cui
inizia uno sgocciolare, un raggiare ricordi.
Allora il lettore - così come l'autore – viene
incalzato da una serie di inesorabili immagini che sfilano davanti ai suoi
occhi, pagina dopo pagina, a passo di processione. Ma è con raffinata acutezza
che Consolo promuove ad opera letteraria tale collettivo di respiri, immagini,
visioni e ricordi: e lo fa togliendo all'Odissea uno dei suoi episodi più cruciali,
abbindolato l'autore stesso dall'enorme capacità del mito omerico di sedurre in
ogni tempo le menti degli uomini.
Spoglio, lacero e consunto è infatti Ulisse,
dopo l'arrivo da naufrago sull'isola di Scheria, terra dei Feaci. Rimasto senza
compagni, quasi vinto dalle furie del mare, è l'uomo più solo del mondo e
scivola come un rivolo verso il fondo della dignità umana. La mente sta per
toccare le frange del sonno, quando l'eroe multiforme trova rifugio infilandosi
tra due folti cespugli nati da un medesimo ceppo, uno d'ulivo e l'altro
d'olivastro. Nascono da un medesimo ceppo questi due simboli del "coltivato
e del selvatico, del bestiale e dell'umano", dell'attendibile e
dell'incerto, quasi a voler significare una diramazione che è congenita nelle
cose, come lo è nella ramaglia sotto la quale trova rifugio Ulisse.
Biforcazione dunque in due vie, due ramature: quella del rigoglio e della
perdizione, quella della baldanza che è nel flutto e della rovina che è nella
risacca. È in tal modo che le storie raccontate dallo scrittore Messinese si
pongono dinnanzi al lettore, ovvero a guisa prima d'olivo e poi d'olivastro,
come in una storia d'amore che fin quando può riesce a mostrare il suo
sentimento più coltivato; ma che poi diviene, sotto il patrocino del tempo,
viluppo intricato di fogliame selvatico. Le storie, i luoghi e i personaggi di
cui si parla sono quelli di una sicilianità bella quanto folle, e di una
Sicilia ricca di sfarzi e splendori decaduti sotto le ceneri di tante città,
tante Ilio distrutte dalla piaga bestiale presa dall'uomo che le abita. Così è
il racconto della Milazzo nella cui piana fiorente pascolavano (secondo una
tradizione che va da Timeo a Ovidio, a Plinio, ad Appiano) le vacche del Dio
Sole, ma che viene soffocata, a partire dagli anni cinquanta, dalla raffineria.
"Sulla piana dove pascolavano gli
armenti del Sole, dove si coltivava il gelsomino, è sorta una vasta e fitta
città di silos, di tralicci, di ciminiere che perennemente vomitano fiamme e
fumo, una metallica, infernale città di Dite che tutto ha sconvolto ed
avvelenato: terra, cielo, mare, menti, cultura."
E come di Milazzo, si parla della Trapani "del
sale del tonno e del corallo"; di Siracusa, Avola, Cefalù, Gela,
Catania. Si narra l'architettura di una Caltagirone vista come metafora
dell'Italia intera, nell'opposizione tra la città vecchia barocca e le
mostruosità nate dalla cultura di massa che compongono invece la parte nuova,
sorta nel democristiano cinquantennio di "benessere" venuto fuori
dopo gli orrori del Fascismo. L'autore impreziosisce l'ossatura del libro con
ricordi personali di viaggi, storie di uomini, omaggi ad artisti come Verga e
Pirandello; il Caravaggio del quale si racconta la discesa nelle latomie di
Siracusa e la composizione della Santa Lucia che verrà rifiutata per la sua
troppa verità, come se della Sicilia si accetti di vedere soltanto la bellezza
insita nei suoi mari, nei suoi santi, nelle sue contrade infinite, e non invece
la sofferenza e la lacerazione provocate dall'incuria di uomini stretti nella
loro mentalità chiusa, circolare come un rosario, selvaggia e selvatica come
fogliame d'oleastro.
Di fronte a tutto questo sconquasso (sia esso
"sacco d'orde barbarie o furia di natura") il protagonista,
come detto, scappa. Ma di continuo gli sovvengono le immagini della sua terra:
si può veramente lasciare la Sicilia?
Vincenzo Consolo (che pure ha vissuto a Milano
dal '68) presenta in questo libro del '94 un viaggio, un canto da tragedia per
una terra che si insidia prepotentemente nella testa di chi l'abbandona in un
modo tale da magnificare ogni singolo ricordo. In tale opera, servendosi di una
lingua antica, colorita e preziosa, l'autore descrive la sicilianità come una
mentalità avvezza alla bellezza, ma folgorata ed abituata ad essa in una maniera
perfino eccessiva, tale da apprezzare il sole che la illumina ma da essere pure
accecati da esso e non riuscire dunque a prendersene cura.
In altre parole, quest'opera ricca di toni,
spunti e sfumature testimonia che la grandezza della Sicilia sta nella follia
che l'attraversa.
Alessandro Milone
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