Dai fiori dei capperi nascono i cucunci e anche il nostro blog produce i suoi frutti.
Cucunci è la nuova rubrica di Capperi a cura di Andrea Cafarella. Ogni mese alcuni appuntamenti con degli autori: direttamente con le loro pagine e le loro parole.
Tema del giorno: storie di pirati feroci e le loro crudeltà.
Se aveva l’aspetto di una furia, i suoi capricci e scoppi d’ira ben vi si addicevano. Riferiremo altre due o tre sue stravaganze che abbiamo omesso nel corpo del racconto, dalle quali risulterà a qual culmine di malvagità possa arrivare la natura umana se le sue passioni non vengono tenute a freno.
Nella repubblica dei pirati, colui che tocca gli estremi
della malvagità è da loro considerato con una sorta di invidia, come una
persone di più straordinario valore, e ha diritto a qualche carica; e per poco
coraggio che abbia, tanto basta per farne un grand’uomo. L’eroe di cui
scriviamo era perfetto in questo senso, e alcuni suoi capricci malvagi erano
così eccessivi da far pensare che volesse spacciarsi ai suoi uomini per un
diavolo incarnato; perché un giorno, trovandosi in mare, e un po’ alterato dal
bere, disse «Suvvia, facciamoci un inferno tutto nostro, e vediamo quanto
riusciamo a resisterci.»; quindi scese nella stiva insieme con due o tre altri
e, chiusi i boccaporti, riempì diversi recipienti di zolfo e, di altre materie
combustibili, cui diede fuoco, continuando cos’ finché non furono quasi
soffocati, quando alcuni presero a invocare a gran voce l’aria; infine aprì i
boccaporti, non poso soddisfatto di essere stato quello che aveva resistito più
a lungo.
Tratto da Il Capitano Teach alias Barbanera
Daniel Defoe, Storie di Pirati. Dal capitano Barbanera alle
donne corsaro, Mondadori ‘Oscar’, 2004. Titolo originale A General History of
the Pyrates, traduzione a cura di Mario Carpitella.
E quel coraggioso voltò la schiena al cuoco e si avviò verso
la spiaggia. Ma non era destinato a fare molta strada. Con un grido, John
Silver afferrò il ramo di un albero, si sfilò la stampella sottobraccio e la
scagliò in aria come un proiettile rudimentale. Colpì davvero il povero Tom di
punta, con una violenza incredibile, proprio al centro della schiena, tra le
scapole. Le sue mani si agitarono in aria, emise come un rantolo e cadde.
Se la ferita fosse grave o lieve, nessuno potrà mai dirlo. A
giudicare dal rumore, la botta doveva avergli spezzato la spina dorsale. In
ogni caso, non ebbe il tempo di riprendersi. In un attimo Silver, agile come
una scimmia pur senza gamba né stampella, gli fu addosso, e per due volte
affondò il coltello fino all’elsa in quel corpo indifeso. Dal mio nascondiglio
lo sentii ansare forte mentre sferrava i colpi.
Non so come sia esattamente svenire, ma so che allora tutto
il mondo si allontanò per un po’ dai miei occhi fluttuando in un fosco
turbinio; Silver e gli uccelli e l’alta cima del Cannocchiale mi giravano e
vorticavano davanti tutti alla rinfusa, e scampanii di ogni sorta misti a voci
lontane rintronavano nelle mie orecchie.
Quando tornai in me il mostro si era ricomposto, la
stampella sotto il braccio, il cappello in testa. Proprio davanti a lui Tom
giaceva a terra immobile; ma l’assassino non gli badò nemmeno, preso com’era a
pulire il coltello insanguinato con un ciuffo d’erba. Per il resto non era
cambiato nulla: il sole splendeva ancora implacabile sulla palude fumante e sul
picco della montagna, e io quasi non riuscivo a convincermi che un omicidio
fosse stato perpetrato davvero, e che pochi istanti prima una vita umana fosse
stata crudelmente spezzata sotto i miei occhi.
Tratto da Capitolo quattordicesimo. Il primo colpo
Robert Louis Stevenson, L’isola del Tesoro, Einaudi ‘ET
Classici’, 2015. Titolo originale Treasure Island, traduzione a cura di Massimo
Bocchiola.
“Maledizione”, ho sentito che diceva Cane Nero dietro di me.
“Ci ha rovinato tutto il divertimento.”
Notai anche quanto al chirurgo sembrasse ripugnare il suo compito.
Evidentemente, dopo tutto, aveva anche lui un punto debole nella sua torbida
coscienza. Era una scoperta che poteva sempre tornarmi utile un giorno o
l’altro.
Quando la gamba di Deval fu tagliata la sollevai in alto e
mi avvicinai al fuoco. Il silenzio era assoluto, a parte il respiro affannoso
del chirurgo. Presi uno degli spiedi e infilzai la gamba di Deval dall’alto in
basso, in un colpo solo, come va fatto. Ma questa volta nessuno lanciò grida di
giubilo, benché fossero tutti dei fini apprezzatori. Poi la misi sul fuoco.
“Questo è quel che io chiamo un Barbecue!” gridai.
Per un bel po’ nessuno disse nulla, poi si levò la voce
incrinata di Pew, chi altri mai, quando arrivò a capire quel che avevo fatto.
Il suo naso non era stato danneggiato dall’esplosione, evidentemente.
“Urrà per Silver!” gridò con entusiasmo. “Urrà per
Barbecue!”
Alcuni urrà esitanti si alzarono da varie parti. Ma non si
può dire che venissero dal cuore. Dalla paura, al caso. Una paura folle. E non
era forse questo il mio scopo? Cosa m’importava di Deval? Avrei potuto
benissimo sparargli un colpo. Dentro di me avrei forse preferito mettergli
subito una palla in corpo. Dopo tutto sarebbe stato più generoso, per Deval. Ma
ora ero più sicuro che nessuno mi si sarebbe messo contro per un bel po’,
neppure alle spalle. Mi avrebbero lasciato in pace. Semplice, no?
Tratto da Capitolo 2
Björn Larsson, La vera storia del pirata Long John Silver,
Iperborea, 1998. Titolo originale Long John Silver, Norstedts Förlag AB,
Stoccolma, 1995, traduzione a cura di Katia De Marco.
Andrea Cafarella
Artwork: Gloria Di Bella
Artwork: Gloria Di Bella
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