martedì 8 marzo 2016

L'artista e la realtà. A proposito di Davis (Inside Llewyn Davis)



Joel ed Ethan Coen, 2013

Buio in sala. Buio anche sullo schermo: e nel fascio di luce, il microfono e una figura barbuta che canta malinconica una malinconicissima ballata – una di quelle impastate con la disperazione e il cinismo – che racconta di libertà, solitudine e morte, ad un pubblico assorto e partecipe, in una cantina fumosa ed affollata. È insomma la quintessenza dell'immaginario folk ciò che vediamo nell'incipit di A proposito di Davis (Inside Llewyn Davis, 2013), il penultimo lavoro dei registi/produttori statunitensi Joel ed Ethan Coen. Per raccontarci la storia di questo cantante folk arrabbiato e male in arnese, che gira New York con la sua chitarra alla ricerca di una scrittura e di un posto per dormire, in compagnia di un gatto come lui insofferente alla vita domestica, i Coen si sono ispirati, secondo quanto da loro stessi dichiarato in più interviste, alla biografia di un musicista realmente esistito, il chitarrista newyorchese Dave Van Ronk – ma attenzione alle dichiarazioni dei fratelli di Minneapolis che, come quelle di altri colleghi registi più anziani, ostili alla lettera giornalistica, vanno lette all'incontrario (come si ascoltano certi dischi rock) per scoprirne il messaggio autentico.

Certo i riferimenti sono palesi: Van Ronk, attivo nel Greenwich Village degli anni '60, culla della cultura alternativa newyorchese, fu autore di un disco dal nome Inside Dave Van Ronk, perfettamente ricalcato in Inside Llewyn Davis, ultima fatica discografica del nostro protagonista: accostando le due copertine, vediamo l'autentico Van Ronk e il fittizio Davis campeggiare nella stessa identica posa, vestiti allo stesso modo, in giacca e camicia a righe, identico è persino il carattere usato per il titolo – e in più, nella copertina di Van Ronk vediamo, accanto a lui sulla soglia, un gatto che scopriremo avere un ruolo importante nella storia di Llewyn. In lui i Coen ritrovano il mito dell'artista insofferente alle convenzioni, che sfida tutto e tutti pur di andare avanti con la sola forza delle sue parole e della sua musica; e, nel cono di luce del Gaslight Café, mentre intona il suo inno di indomabile libertà che neanche la morte può arrestare (Hang Me, canto tradizionale già inciso da Van Ronk) Llewyn Davis ci appare indiscutibilmente un suo epigono.
Ma più che il racconto di un'esperienza, quella che i Coen derivano dalla biografia di Van Ronk è una sorta di intelaiatura dell'immaginario: il folk, il Village, gli anni '60, la figura del musicista ribelle, e questa struttura ha i suoi aspetti squisitamente visivi – condensati nella suggestiva fotografia di Bruno Delbonnel che ci mostra una New York dai colori smorzati e immersa in un biancore diffuso, come nella copertina di The Freewheelin' Bob Dylan – e se in quella famosissima immagine il bianco è forse il riflesso dell'aria carica di neve, qui diventa la cifra simbolica di un'età aspra e difficile. Nel film la scena folk newyorchese è soprattutto un'immagine, quella riconoscibile della gioventù che, nata negli anni di guerra e cresciuta tra le ristrettezze post-belliche, avrebbe dato vita a un movimento culturale di portata epocale, che avrebbe cambiato per sempre il senso dell'essere giovani nel mondo occidentale, rivoltandosi contro le generazioni precedenti che avevano combattuto le guerre mondiali, e contro la società ordinata che avevano costruito, in nome di un ideale di libertà e bellezza. Llewyn Davis è soprattutto questo, un giovane idealista arrabbiato che non vuole semplicemente esistere come suo padre, che cerca di dare un senso alla propria vita attraverso quella dimensione altra che è l'arte, ovvero la musica. La ricerca artistica è per Llewyn, come per molti altri giovani del suo tempo, un modo di contestare l'ordine prestabilito, di affermare la propria personalità; e il credo di questa generazione è stato il pensiero del filosofo Herbert Marcuse che nel 1955 a New York aveva pubblicato il suo Eros e civiltà, in cui contestava la società occidentale come repressiva, colpevole di aver sostituito il principio di realtà a quello del piacere, di aver scelto l'Ordine sacrificandole la Creatività. Il pensiero di Marcuse fu la scintilla che avrebbe acceso la contestazione giovanile al grido de l'immaginazione al potere, sollevando leve di giovani disobbedienti dalle smisurate ambizioni artistiche. E tra queste figurine potremmo collocare il nostro L.D., ma nel corso del film il suo personaggio ci mostrerà un volto molto diverso.
Già dalla prima conversazione con il proprietario del Gaslight Café, locale del Village dove si esibisce, scopriamo che in un passato molto recente il nostro aveva un partner musicale, Mike Timlin, e con lui aveva inciso un disco, If We Had Wings, e tutti, amici e conoscenti, lo ricordano con affetto e nostalgia: Mel, il suo pittoresco agente, gli amici e fidanzati Jean e Jim Berkey, le attrazioni più popolari al Gaslight Café, i borghesi coniugi Gorfein, Mitch (professore universitario), e Lillian, che ogni tanto lo ospitano per la notte. Ognuno di loro, parlando con Llewyn, esprime la mancanza di Mike: è come se costui fosse, più che un partner, una parte di Llewyn, la sua parte mancante. Mike si è suicidato buttandosi giù dal George Washington Bridge e senza di lui tutto è più difficile, il pubblico apprezza le esibizioni di Llewyn ma il suo nuovo disco non si vende, e lui fatica a comprendere la nuova situazione, si sente un artista autentico, superiore agli altri cantanti che si esibiscono al Gaslight, che disprezza per la loro ingenuità folk, per il loro sentimentalismo, perché non hanno la sua scorza di duro che crede di aver capito tutto del mondo.
E invece il mondo sembra sfidare Llewyn, presentandosi a lui nelle maschere più imperscrutabili: come nell'episodio dell'uomo misterioso che, subito dopo la canzone che apre il film, lo prende a pugni nel vicolo, quasi una prefigurazione del duro corso di eventi che lo attende. L'accaduto avrà nel finale la sua spiegazione, e scopriremo la parte di torto del nostro; nel corso del film però vedremo come non siano soltanto le azioni di Llewyn ad esporlo a ogni sorta di difficoltà e fallimenti, ma anche la sua inazione: ospitato dai Gorfein, finisce per tirarsi dietro il loro gatto in una serie di peregrinazioni in giro per New York, tra cui un indimenticabile viaggio in metropolitana in cui lo spettatore vede in soggettiva ciò che il gatto vede dal finestrino. Andato da Jim e Jean per cercare un ricovero per la notte, scopre che Jean, di cui è innamorato e con cui ha avuto un fugace incontro, è rimasta incinta e non sa se il bambino sia suo o di Jim e per questo, furiosa per l'inettitudine di Llewyn, vuole sbarazzarsene. Per colmo di sfortuna, perde il gatto; crede di ritrovarlo, ma è il gatto sbagliato; litiga platealmente con gli amici Gorfein per una questione di puntiglio. Credendo di risollevare le proprie sorti, va a Chicago (con il gatto) per conoscere un impresario importante, Bud Grossman, ma l'audizione si rivelerà un totale fallimento e il viaggio un'avventura sgradevole (con i due compagni di viaggio, il criptico poeta beat Johnny Five e il degenerato jazzista Roland Turner - interpretato da un superbo attore coeniano, John Goodman) e assai pericolosa. Sembra che i Coen vogliano fare del proprio protagonista una sorta di capro espiatorio (come già diversi altri personaggi coeniani, in particolare il Larry Gopnik de A Serious Man del 2009, grottesco Giobbe cinematografico), in questo caso in chiave esplicitamente comica. Il loro è il tipico humour ebraico, antico e quindi politicamente scorretto, che, mantenendoci a distanza dal personaggio (una misura comica, potremmo dire) ci impedisce di provare vera empatia per lui. Quando, quasi sul finale, anche l'ultima via d'uscita gli viene preclusa perché la sorella ha buttato via il suo brevetto di pilota e sottufficiale e lui non può più imbarcarsi (avendo speso tutti i suoi soldi per farlo), il personaggio Llewyn varca la soglia del grottesco. Subito dopo, assistiamo al ripetersi di eventi identici, che avevamo già visto all'inizio del film: Llewyn si risveglia a casa dei Gorfein dove nel frattempo il gatto è ritornato (e scopriamo che porta l'evocativo nome di Ulisse) ma stavolta riesce a non farlo fuggire; rivediamo il suo litigio con l'uomo misterioso (preceduto da un esplicativo antefattso) che lo lascia dolorante sul vicolo, mentre sul palco del Gaslight sale un certo Bob Dylan – e il folk non sarà più lo stesso.
Credevamo di assistere alla pseudo biografia di un musicista vissuto negli anni '60, ed eccoci a questa rottura dell'ordine “naturale” della rappresentazione. Qual è il significato di questa operazione? Con l'introduzione di questi elementi (la chiave grottesca, le ripetizioni di eventi) i Coen palesano il loro intento, che è quello di rompere l'illusione cinematografica, di rendere lo spettatore consapevole e critico rispetto alla finzione filmica. Non sono nuovi a questo espediente (si veda Crocevia della morte del 1990, o soprattutto Barton Fink del 1991, con il suo finale in una dimensione “altra”); il loro cinema scompone e ricompone gli elementi della narrazione tradizionale; è stato definito cinema critico, che decostruisce il cinema classico giocando con il racconto ed i suoi elementi costitutivi, ovvero cinema postmoderno. È un approccio squisitamente letterario (ed Ethan Coen è anche scrittore di racconti e di teatro) ed è lecito supporre che della letteratura i Coen apprezzino ciò che la distingue dal cinema, ovvero l'alterità e la sua relativa emancipazione dal mercato e dall'industria. Quando Llewyn canta una struggente ballata d'amore e morte, The Death of Queen Jane, per l'impresario Bud Grossman, il raggelato commento di questi è: “I don't see a lot of money here”, non si fanno molti soldi con questa roba. L'arte è sì la dimensione della libertà e dell'alterità, ma deve sempre fare i conti con il suo pubblico, ovvero con il mercato; e da cineasti del ventunesimo secolo, i Coen riattualizzano la dicotomia marcusiana che più che mai li riguarda: ogni artista vive sulla propria pelle il conflitto tra il principio del piacere (e della creatività) e il principio di realtà. E per ogni Llewyn che esce sconfitto da questo scontro, c'è sempre un Bob Dylan che ce la fa, riuscendo a coniugare discorso artistico e popolarità. Ma non è detto che l'uno valga poi molto più dell'altro: le loro canzoni sono molti simili (nel finale, esibendosi al Gaslight, Dylan canta Farewell, poco dopo Farethewell di Llewyn). È questo l'omaggio finale dei Coen al loro bistrattato personaggio Llewyn Davis, non c'è arte senza  smarrimento, senza vagabondaggio: è una lunga incerta ricerca da affrontare in solitudine, o tutt'al più in compagnia di un gatto chiamato Ulisse.

Loredana Di Pietro

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