Joel ed Ethan Coen, 2013
Buio in sala. Buio anche sullo
schermo: e nel fascio di luce, il microfono e una figura barbuta che canta
malinconica una malinconicissima ballata – una di quelle impastate con la
disperazione e il cinismo – che racconta di libertà, solitudine e morte, ad un
pubblico assorto e partecipe, in una cantina fumosa ed affollata. È insomma la
quintessenza dell'immaginario folk ciò che vediamo nell'incipit di A
proposito di Davis (Inside Llewyn Davis, 2013), il penultimo lavoro
dei registi/produttori statunitensi Joel ed Ethan Coen. Per raccontarci la
storia di questo cantante folk arrabbiato e male in arnese, che gira New York
con la sua chitarra alla ricerca di una scrittura e di un posto per dormire, in
compagnia di un gatto come lui insofferente alla vita domestica, i Coen si sono
ispirati, secondo quanto da loro stessi dichiarato in più interviste, alla
biografia di un musicista realmente esistito, il chitarrista newyorchese Dave
Van Ronk – ma attenzione alle dichiarazioni dei fratelli di Minneapolis che,
come quelle di altri colleghi registi più anziani, ostili alla lettera
giornalistica, vanno lette all'incontrario (come si ascoltano certi dischi
rock) per scoprirne il messaggio autentico.
Certo i riferimenti sono palesi:
Van Ronk, attivo nel Greenwich Village degli anni '60, culla della cultura
alternativa newyorchese, fu autore di un disco dal nome Inside Dave Van
Ronk, perfettamente ricalcato in Inside Llewyn Davis, ultima fatica
discografica del nostro protagonista: accostando le due copertine, vediamo
l'autentico Van Ronk e il fittizio Davis campeggiare nella stessa identica
posa, vestiti allo stesso modo, in giacca e camicia a righe, identico è persino
il carattere usato per il titolo – e in più, nella copertina di Van Ronk
vediamo, accanto a lui sulla soglia, un gatto che scopriremo avere un
ruolo importante nella storia di Llewyn. In lui i Coen ritrovano il mito
dell'artista insofferente alle convenzioni, che sfida tutto e tutti pur di andare
avanti con la sola forza delle sue parole e della sua musica; e, nel cono di
luce del Gaslight Café, mentre intona il suo inno di indomabile libertà
che neanche la morte può arrestare (Hang Me, canto tradizionale già
inciso da Van Ronk) Llewyn Davis ci appare indiscutibilmente un suo epigono.
Ma più che il racconto di
un'esperienza, quella che i Coen derivano dalla biografia di Van Ronk è una
sorta di intelaiatura dell'immaginario: il folk, il Village, gli anni '60, la
figura del musicista ribelle, e questa struttura ha i suoi aspetti
squisitamente visivi – condensati nella suggestiva fotografia di Bruno
Delbonnel che ci mostra una New York dai colori smorzati e immersa in un
biancore diffuso, come nella copertina di The Freewheelin' Bob Dylan – e
se in quella famosissima immagine il bianco è forse il riflesso
dell'aria carica di neve, qui diventa la cifra simbolica di un'età aspra e
difficile. Nel film la scena folk newyorchese è soprattutto un'immagine,
quella riconoscibile della gioventù che, nata negli anni di guerra e cresciuta
tra le ristrettezze post-belliche, avrebbe dato vita a un movimento culturale
di portata epocale, che avrebbe cambiato per sempre il senso dell'essere
giovani nel mondo occidentale, rivoltandosi contro le generazioni precedenti
che avevano combattuto le guerre mondiali, e contro la società ordinata che
avevano costruito, in nome di un ideale di libertà e bellezza. Llewyn Davis è
soprattutto questo, un giovane idealista arrabbiato che non vuole semplicemente
esistere come suo padre, che cerca di dare un senso alla propria vita
attraverso quella dimensione altra che è l'arte, ovvero la musica. La
ricerca artistica è per Llewyn, come per molti altri giovani del suo tempo, un
modo di contestare l'ordine prestabilito, di affermare la propria personalità;
e il credo di questa generazione è stato il pensiero del filosofo Herbert
Marcuse che nel 1955 a New York aveva pubblicato il suo Eros e civiltà, in
cui contestava la società occidentale come repressiva, colpevole di aver
sostituito il principio di realtà a quello del piacere, di aver scelto l'Ordine
sacrificandole la Creatività. Il pensiero di Marcuse fu la scintilla che
avrebbe acceso la contestazione giovanile al grido de l'immaginazione al
potere, sollevando leve di giovani disobbedienti dalle smisurate ambizioni
artistiche. E tra queste figurine potremmo collocare il nostro L.D., ma nel
corso del film il suo personaggio ci mostrerà un volto molto diverso.
Già dalla prima conversazione con
il proprietario del Gaslight Café, locale del Village dove si esibisce,
scopriamo che in un passato molto recente il nostro aveva un partner musicale,
Mike Timlin, e con lui aveva inciso un disco, If We Had Wings, e tutti,
amici e conoscenti, lo ricordano con affetto e nostalgia: Mel, il suo pittoresco
agente, gli amici e fidanzati Jean e Jim Berkey, le attrazioni più popolari al Gaslight
Café, i borghesi coniugi Gorfein, Mitch (professore universitario),
e Lillian, che ogni tanto lo ospitano per la notte. Ognuno di loro, parlando
con Llewyn, esprime la mancanza di Mike: è come se costui fosse, più che un
partner, una parte di Llewyn, la sua parte mancante. Mike si è
suicidato buttandosi giù dal George Washington Bridge e senza di lui tutto è
più difficile, il pubblico apprezza le esibizioni di Llewyn ma il suo nuovo
disco non si vende, e lui fatica a comprendere la nuova situazione, si sente un
artista autentico, superiore agli altri cantanti che si esibiscono al Gaslight,
che disprezza per la loro ingenuità folk, per il loro sentimentalismo, perché
non hanno la sua scorza di duro che crede di aver capito tutto del mondo.
E invece il mondo sembra sfidare
Llewyn, presentandosi a lui nelle maschere più imperscrutabili: come
nell'episodio dell'uomo misterioso che, subito dopo la canzone che apre il
film, lo prende a pugni nel vicolo, quasi una prefigurazione del duro corso di
eventi che lo attende. L'accaduto avrà nel finale la sua spiegazione, e
scopriremo la parte di torto del nostro; nel corso del film però vedremo come
non siano soltanto le azioni di Llewyn ad esporlo a ogni sorta di difficoltà e
fallimenti, ma anche la sua inazione: ospitato dai Gorfein, finisce per tirarsi
dietro il loro gatto in una serie di peregrinazioni in giro per New York, tra
cui un indimenticabile viaggio in metropolitana in cui lo spettatore vede in
soggettiva ciò che il gatto vede dal finestrino. Andato da Jim e Jean per
cercare un ricovero per la notte, scopre che Jean, di cui è innamorato e con
cui ha avuto un fugace incontro, è rimasta incinta e non sa se il bambino sia
suo o di Jim e per questo, furiosa per l'inettitudine di Llewyn, vuole
sbarazzarsene. Per colmo di sfortuna, perde il gatto; crede di ritrovarlo, ma è
il gatto sbagliato; litiga platealmente con gli amici Gorfein per una questione
di puntiglio. Credendo di risollevare le proprie sorti, va a Chicago (con il
gatto) per conoscere un impresario importante, Bud Grossman, ma l'audizione si
rivelerà un totale fallimento e il viaggio un'avventura sgradevole (con i due
compagni di viaggio, il criptico poeta beat Johnny Five e il degenerato
jazzista Roland Turner - interpretato da un superbo attore coeniano, John Goodman)
e assai pericolosa. Sembra che i Coen vogliano fare del proprio protagonista
una sorta di capro espiatorio (come già diversi altri personaggi coeniani, in
particolare il Larry Gopnik de A Serious Man del 2009, grottesco Giobbe
cinematografico), in questo caso in chiave esplicitamente comica. Il loro è il
tipico humour ebraico, antico e quindi politicamente scorretto, che,
mantenendoci a distanza dal personaggio (una misura comica, potremmo
dire) ci impedisce di provare vera empatia per lui. Quando, quasi sul finale,
anche l'ultima via d'uscita gli viene preclusa perché la sorella ha buttato via
il suo brevetto di pilota e sottufficiale e lui non può più imbarcarsi (avendo
speso tutti i suoi soldi per farlo), il personaggio Llewyn varca la soglia del
grottesco. Subito dopo, assistiamo al ripetersi di eventi identici, che avevamo
già visto all'inizio del film: Llewyn si risveglia a casa dei Gorfein dove nel
frattempo il gatto è ritornato (e scopriamo che porta l'evocativo nome di Ulisse)
ma stavolta riesce a non farlo fuggire; rivediamo il suo litigio con l'uomo
misterioso (preceduto da un esplicativo antefattso) che lo lascia dolorante sul
vicolo, mentre sul palco del Gaslight sale un certo Bob Dylan – e il
folk non sarà più lo stesso.
Credevamo di assistere alla pseudo
biografia di un musicista vissuto negli anni '60, ed eccoci a questa rottura
dell'ordine “naturale” della rappresentazione. Qual è il significato di
questa operazione? Con l'introduzione di questi elementi (la chiave grottesca,
le ripetizioni di eventi) i Coen palesano il loro intento, che è quello di
rompere l'illusione cinematografica, di rendere lo spettatore consapevole e
critico rispetto alla finzione filmica. Non sono nuovi a questo espediente (si
veda Crocevia della morte del 1990, o soprattutto Barton Fink del
1991, con il suo finale in una dimensione “altra”); il loro cinema scompone e
ricompone gli elementi della narrazione tradizionale; è stato definito cinema
critico, che decostruisce il cinema classico giocando con il racconto ed i suoi
elementi costitutivi, ovvero cinema postmoderno. È un approccio
squisitamente letterario (ed Ethan Coen è anche scrittore di racconti e di
teatro) ed è lecito supporre che della letteratura i Coen apprezzino ciò che
la distingue dal cinema, ovvero l'alterità e la sua relativa emancipazione
dal mercato e dall'industria. Quando Llewyn canta una struggente ballata
d'amore e morte, The Death of Queen Jane, per l'impresario Bud Grossman,
il raggelato commento di questi è: “I don't see a lot of money here”, non si
fanno molti soldi con questa roba. L'arte è sì la dimensione della libertà e
dell'alterità, ma deve sempre fare i conti con il suo pubblico, ovvero con il
mercato; e da cineasti del ventunesimo secolo, i Coen riattualizzano la
dicotomia marcusiana che più che mai li riguarda: ogni artista vive sulla
propria pelle il conflitto tra il principio del piacere (e della creatività) e
il principio di realtà. E per ogni Llewyn che esce sconfitto da questo scontro,
c'è sempre un Bob Dylan che ce la fa, riuscendo a coniugare discorso artistico
e popolarità. Ma non è detto che l'uno valga poi molto più dell'altro: le loro
canzoni sono molti simili (nel finale, esibendosi al Gaslight, Dylan
canta Farewell, poco dopo Farethewell di Llewyn). È questo l'omaggio
finale dei Coen al loro bistrattato personaggio Llewyn Davis, non c'è arte
senza smarrimento, senza vagabondaggio:
è una lunga incerta ricerca da affrontare in solitudine, o tutt'al più in
compagnia di un gatto chiamato Ulisse.
Loredana Di Pietro
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