Quando lo storico della filosofia giunge al termine, in quel breve tratto di penombra che è il contemporaneo e che gli permette di prendere fiato nell’illusione che tutto ciò che si doveva dire è stato detto, allora comincia il discorso sul già detto, la filosofia della filosofia.
Il filosofare è un lungo ragionamento complicato, una «serie dialettica» ininterrotta in cui il pensiero che vi gioca è principalmente, e per fortuna, un pensiero sintetico in cui i concetti precedenti vengono ampliati dai successivi e sopravvivono grazie ai conseguenti. Quando ciascuno di noi, per un qualsiasi motivo, interromperà la serie, qualcun altro la riprenderà, dato che è impossibile che essa cessi, quasi come quelle mitologie che affidano la sopravvivenza dell’essere al perpetuarsi di una ininterrotta favola.
Giunti alla fine della filosofia, la prima cosa che possiamo fare è guardarci attorno per osservare e constatare che il mondo del pensiero è un mondo molteplice governato dall’errore, dove anzi l’errore pian piano si mostra per quello che davvero è, ossia strumento metodologico per scovare la verità e bagaglio esperienziale imprescindibile.
Grazie all’abbaglio le filosofie si sono succedute, nell’impressione solo superficiale che le nuove fossero altra cosa rispetto alle vecchie, mentre non sono che differenti, ma sempre quelle.
L’errore è insito nel soggetto che cerca la verità, perché se non vuole cadere nello stesso sbaglio, dovrà portarlo con sé come monito, come sussurro costante. Così errore e verità stanno insieme nelle orecchie del filosofo, e forse potrebbero essere la stessa cosa osservata da diversi punti di vista. E torna il viandante, lo scopritore di verità, colui che insidia la realtà volendola denudare e costui cammina lungo un percorso che dietro le sue gambe si arrotola sulle spalle, come un sacco: perché il filosofo si eternizza nella cerca, osservando il passato e il futuro dalla sottile linea del presente, l’attimo che consente al passato d’essere stato e al futuro di non essere ancora; perché eternizzarsi significa smettere di correre dietro al tempo, fare che il tempo circoli intorno a noi e ci scivoli tra le gambe.
Alla fine della filosofia ci si accorge, allora, che non esistono le filosofie, ma un unico pensiero ininterrotto e un unico filosofo, fin da quei fisiologi ionici che dovettero negare il divino per dar vita al pensiero indagatore (e qui l’origine). E, dopo di essi Parmenide ed Eraclito e il primo, l’autore ne è certo, intitolò la propria opera non Perí Physeos, ma Aletheia, verità, perché è con la verità che il filosofo gioca a rincorrersi.
Con una scrittura tanto chiara quanto dalla perentorietà del mistico, José Ortega y Gasset ci conduce svolazzando attraverso un pensiero denso di significato e ricco di risvolti e sfaccettature, alla scoperta del vero nome del filosofo e della filosofia e del perché il termine “filosofia” sia nato come maschera per difendersi dall’odio del popolo, il tutto immerso in una teoria della conoscenza non priva di fascino.
Pure se non tutto ciò che afferma in questo scritto è da ritenersi condivisibile, l’utilità di Origine ed Epilogo della filosofia (e altri scritti) risiede nei continui rimandi, negli spunti riflessivi e nella piacevolezza di leggere un testo di filosofia (un trattato!) privo delle coltri di verbosità dietro cui tutti, prima o poi, soliamo nasconderci... (come adesso).
Alessandro Motta
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