venerdì 27 agosto 2010

Il vecchio e il mare

«L’uomo non è fatto per la sconfitta […] l’uomo può essere ucciso, ma non sconfitto».
Sono le parole del vecchio Santiago che più di tutte racchiudono il significato profondo che permea le pagine de Il vecchio e il mare, opera fra le più note di E. Hemingway. Santiago è un vecchio pescatore cubano, molto povero. Dopo la morte della moglie nella vita ha un unico affetto, quello di Manolito un ragazzo che lo accompagna nelle sue uscite in mare. Trascorsi ottantadue giorni di pesca sfortunata però, i genitori del ragazzo gli impediscono di continuare ad andare in barca col vecchio, che l’ottantatreesimo giorno decide comunque di prendere il mare da solo. Si spinge al largo e un grosso Marlin finalmente abbocca all’esca. L’estenuante lotta durerà tre giorni interi e vedrà il trionfo di Santiago sul pesce. Il vecchio lo legherà alla barca, ma durante il rientro, attaccato dai pescecani, nonostante i suoi enormi sforzi, arrivato in porto, del pesce non sarà rimasto altro che la testa e la lisca. Grazie allo stile rigoroso che contraddistingue la sua scrittura, Hemingway riesce a rendere mitica l’esperienza individuale di un vecchio pescatore. L’epica lotta di un uomo solo con la Natura, diventa quella di ognuno di noi col mondo e con la vita. Santiago incarna l’emblema dell’uomo che allo stesso tempo è vinto ma vincitore perché, nonostante la sconfitta sia completa, ciò che dà senso alla lotta è lo sforzo che impieghiamo per affrontare il destino. Ed è proprio nella misura di questo sforzo che si delinea la vittoria nella disfatta. Grazie ad una scrittura limpida, chiara, priva di fronzoli, in tutto uguale alla lingua parlata e quotidiana, Hemingway accompagna il lettore alla scoperta di una Natura magnifica, ma reale, con cui il protagonista stringe un intimo legame e della quale ognuno di noi sente di far parte. È nella luce del sole abbagliante, nel colore di un oceano cristallino, nella sensazione del sale che brucia sulla pelle che si legge quel rapporto inscindibile che lega l’uomo e la Natura e quell’estenuante, ma vitale, lotta per la vita. È nella forza d’animo con cui il vecchio pescatore intraprende la sua avventura, nella determinazione e nel coraggio con cui la porta a termine che il lettore trova lo spunto per una riflessione attenta e acuta sul senso dell’esistenza. «Vai e rischia quel che devi rischiare come qualsiasi uomo o uccello o pesce». È nella consapevolezza di poter dire di aver sempre tentato che l’uomo supera i limiti della finitezza che lo contraddistingue e trova significato all’esistere.



Maria Maio

da tenere sul comodino

venerdì 13 agosto 2010

Percorsi letterari


Ogni mattina entra nella mia stanza in punta di piedi l'affittacamere, sento i suoi passi. E la stanza è talmente lunga, che si potrebbe e converrebbe andare in bicicletta dalla porta al mio letto. L'affittacamere si china su di me, si gira, fa un segno a qualcuno sulla porta e dice:
"Il signor Kafka è qui."
E punta tre volte il dito nell'aria e poi di nuovo se ne va pian piano verso la porta, dove la padrona di casa gli passa forse un vassoio di latta con un cornetto e una tazza di caffellatte, e l'affittacamenre me lo porge, e, poiché gli tremano le mani, la tazza balbetta sul vassoio. A volte, dopo un simile risveglio, penso che cosa accadrebbe se l'affittacamere, svegliandomi, dichiarasse che non ci sono.

(Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare Bohumil Hrabal)


Ci sono perché mi percepisco o perché mi percepiscono altri?
Ritrarre è la pratica che ci permette di rappresentare la realtà e di essere conosciuti nella realtà.
Attraverso un percorso di lettura vogliamo proporre l'articolazione del ritratto letterario.
Dieci sono i titoli che abbiamo selezionato.

Il ritratto di Dorian Gray, Oscar Wilde
Cime tempestose, Emily Brontë
Le onde, Virginia Woolf
Madame Bovary, Gustave Flaubert
Creatura di sabbia, Tahar Ben Jelloun
L'arte della gioia, Goliarda Sapienza
La metamorfosi, Franz Kafka
Autobiografia di una rivoluzionaria, Angela Davis
Europeana, Patrick Ourednik
Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare, Bohumil Hrabal

Stiamo preparando delle personalissime schede di lettura su questi titoli, chi volesse farsi i fatti nostri se li faccia comodamente!!!

capperi.redazione@gmail.com

Chimicherie

Una ossidazione è una reazione in cui un atomo (o uno ione) perde elettroni, cioè acquista cariche positive.
Una riduzione è il processo inverso, cioè è una reazione in cui un atomo (o uno ione) acquista uno o più elettroni.

In una reazione in cui una sostanza si ossida, vi deve essere una sostanza che si riduce: quindi ogni reazione di ossidazione avviene contemporaneamente a una reazione di riduzione, e la reazione complessiva si chiama reazione di ossido-riduzione.

Così sorgono le nostre chimicherie

Come una musica in sovrimpressione su... Un solitario amore


egli non ama certamente il grigio
focolare dell’orma e la forma
caudata della ellisse, non ama
l’astrazione del selvaggio informe
ragionar casto e sicuro. e grido
e greve insaccamento del limo
dove dorme la gora, e l’animo
fioco del tumulto, e la nazione.
ma per sua naturale inazione
e diacona effigie di maestro
accoglie a sé con amorosa laude
l’arte del fabbro e il pentimento vero
del segno inaccessibile e il canto
gioioso dell’ape pronuba.


(Appendice: Ore) da Cuore (cieli celesti)




Voi sognerete l’ombra

Non rigorosa morte io vi cedo,
non vetro che v’abbagli dietro un muro
silenzioso, vaglio quel peso e credo
d’offrire all’ozioso il bisogno, curo
altrimenti di donare al muto,
che sempre muto s’affannò per dire,
verità d’intesserne la trama e quei
molteplici sogni e quei disegni,
ghirigori che possono azzittirvi,
non dirvi, e farvi credere, imporvi
l’inutile sapienza che possiate
risolvere in un soffio, cima lata
di foglia del cui credito dunque vi
sia puro il limite soltanto, l’arsi,
non dove s’apre diletto di clausura.


(Lettere musive) da Cuore (cieli celesti)

Beppe Salvia

Un solitario amore


Con un magnifico capogiro rinnovo la lettura dei versi di Beppe Salvia;
è una decisione vinta in partenza: me ne re-innamorerò.
Sarà ‘ché con la sua “otto volante” poesia riprendo una sorta di equilibrio con il mondo delle cose, quello che dai sentimenti e dalle sensazioni adunchi si rifà i lineamenti chiari e più “adatti” a leggerle, come soffondendosi per conviverci, con nuova forza linfa parola d’accenti accesa, nuovamente accessibile a quel fiuto che sopravvive a ogni dimenticanza, come un filo sul vetro.
Sarà perché le liriche di Salvia partendo dall’otto coricato, tracciano e traggono una serie di corrispondenze tra echi leopardiani, non indietreggiando né varcando, solo oltrepassando, quel certo pessimista, romantico, nostro poeta innato, e pure dalle spalle innevate mi viene da dire; e i gloriosi “ottanta” nostri diretti parenti in fatto di risveglio delle coscienze artistiche post-rivoluzione e pre-computerizzazione.
Rileggo il libro che raccoglie l’opera di Beppe Salvia, intitolato “un solitario amore”, probabilmente da un suo verso, lo riapro oggi che piove, nel ricordo di ieri che era primavera, e ritrovo ogni climax e ogni sintomo di una stagione senza fine, compresa ogni fine e inizio di stagione, di cambio e scambio di prospettiva di clima, luce del sole, sguardo in proiezione a dove tramonterà, e pure io a seguito suo, ho una sensazione di poter tramontare e tramutare, tra quei fogli segna-posto, segna-verso, segna-sogni, dei quali disimbottisco il libro per ripartire da zero, e leggere, con il trasporto e la curiosità di ricominciare daccapo, da capo a coda, e imparare sempre qualcosa di nuovo, come quando, paragone a me caro, ma proprio per affezione più che per riferimento, riascolto i dischi di Nick Drake, e vi trovo sempre una inflessione nuova di canto e accorgimenti di una certa perfezione musicale, soul, folk, naturale come il cangiante verde di un bosco, tutti quei verdi indicibili, impossibili a mio avviso da ritrattare nella tavola dei colori, tutti quei versi impossibili da citare se non regalandovi il suo libro con l’opera omnia e poterne parlare, sempre con il limite di non doverli necessariamente leggere ad alta voce.
Il poeta ha una pena a due ottavi. Quella vera, umana, e un’altra, neppure indotta o dichiarata all’anagrafe dopo il secondo nome, o sullo stato di famiglia riconosciuta come prole o continuazione del proprio nome, dicevo che l’altra, la pena continua/contigua, la cura meticolosa, è quella delle parole, che non sono quelle da scrivere, ma quelle da raccolta del quotidiano esistere, quelle che talvolta stridono mentre tutto fila liscio come il quotidiano, e quelle che si appiattiscono mentre il mondo magari va in fiamme, e non sono proprio secchi d’acqua o mezzi da pompiere, piuttosto fiammiferi per fiammelle ulteriori.



Giampaolo De Pietro


M'innamoro di cose lontane e vicine,
lavoro e sono rispettato, infine
anch'io ho trovato un leggero confine,
a questo mondo che non si può fuggire.
Forse scopriranno una nuova legge
universale, e altre cose e uomini
impareremo ad amare. Ma io ho nostalgia
delle cose impossibili, voglio tornare
indietro. Domani mi licenzio, e bevo
e vedo chimere e sento scomparire
lontane cose e vicine.

da Cuore, cieli celesti

domenica 8 agosto 2010

Origine ed epilogo della filosofia



Quando lo storico della filosofia giunge al termine, in quel breve tratto di penombra che è il contemporaneo e che gli permette di prendere fiato nell’illusione che tutto ciò che si doveva dire è stato detto, allora comincia il discorso sul già detto, la filosofia della filosofia.
Il filosofare è un lungo ragionamento complicato, una «serie dialettica» ininterrotta in cui il pensiero che vi gioca è principalmente, e per fortuna, un pensiero sintetico in cui i concetti precedenti vengono ampliati dai successivi e sopravvivono grazie ai conseguenti. Quando ciascuno di noi, per un qualsiasi motivo, interromperà la serie, qualcun altro la riprenderà, dato che è impossibile che essa cessi, quasi come quelle mitologie che affidano la sopravvivenza dell’essere al perpetuarsi di una ininterrotta favola.
Giunti alla fine della filosofia, la prima cosa che possiamo fare è guardarci attorno per osservare e constatare che il mondo del pensiero è un mondo molteplice governato dall’errore, dove anzi l’errore pian piano si mostra per quello che davvero è, ossia strumento metodologico per scovare la verità e bagaglio esperienziale imprescindibile.
Grazie all’abbaglio le filosofie si sono succedute, nell’impressione solo superficiale che le nuove fossero altra cosa rispetto alle vecchie, mentre non sono che differenti, ma sempre quelle.
L’errore è insito nel soggetto che cerca la verità, perché se non vuole cadere nello stesso sbaglio, dovrà portarlo con sé come monito, come sussurro costante. Così errore e verità stanno insieme nelle orecchie del filosofo, e forse potrebbero essere la stessa cosa osservata da diversi punti di vista. E torna il viandante, lo scopritore di verità, colui che insidia la realtà volendola denudare e costui cammina lungo un percorso che dietro le sue gambe si arrotola sulle spalle, come un sacco: perché il filosofo si eternizza nella cerca, osservando il passato e il futuro dalla sottile linea del presente, l’attimo che consente al passato d’essere stato e al futuro di non essere ancora; perché eternizzarsi significa smettere di correre dietro al tempo, fare che il tempo circoli intorno a noi e ci scivoli tra le gambe.
Alla fine della filosofia ci si accorge, allora, che non esistono le filosofie, ma un unico pensiero ininterrotto e un unico filosofo, fin da quei fisiologi ionici che dovettero negare il divino per dar vita al pensiero indagatore (e qui l’origine). E, dopo di essi Parmenide ed Eraclito e il primo, l’autore ne è certo, intitolò la propria opera non Perí Physeos, ma Aletheia, verità, perché è con la verità che il filosofo gioca a rincorrersi.
Con una scrittura tanto chiara quanto dalla perentorietà del mistico, José Ortega y Gasset ci conduce svolazzando attraverso un pensiero denso di significato e ricco di risvolti e sfaccettature, alla scoperta del vero nome del filosofo e della filosofia e del perché il termine “filosofia” sia nato come maschera per difendersi dall’odio del popolo, il tutto immerso in una teoria della conoscenza non priva di fascino.
Pure se non tutto ciò che afferma in questo scritto è da ritenersi condivisibile, l’utilità di Origine ed Epilogo della filosofia (e altri scritti) risiede nei continui rimandi, negli spunti riflessivi e nella piacevolezza di leggere un testo di filosofia (un trattato!) privo delle coltri di verbosità dietro cui tutti, prima o poi, soliamo nasconderci... (come adesso).



Alessandro Motta