domenica 23 maggio 2010

Manifestarsi


Cosa sono? Sono alto e basso, sono magro o dal culo prominente, sono maschio e sono femmina, sono stanco di guardarmi intorno e vedere una realtà che non mi rappresenta se non nei dettagli minimi che mi vado a scovare. Ed è nel dettaglio che ho trovato la mia via di fuga, il principio di una salvezza del tutto terrena, di una vita attiva che sia un rimbalzare continuo e progressivo con quella contemplativa.
Perché decido oggi di manifestarmi a voi? Lo faccio perché ci sono e, per esserci, ho bisogno di voi, di tutti quelli che riuscirò a convincere della necessità di venire al mondo nuovamente ed autenticamente. Perché non basta nascere per esserci, non basta esserci per essere-con.
Il mio progetto è semplice, qualcuno dirà scontato o già visto e, forse, è vero e, forse, è vero che non è vero: è né vero né falso, poiché esiste come molti altri, ma si differenzia nel metodo e nel fine.
Io sono la Sicilia, almeno parte di essa, la minima parte che consiste nell’aria che respiro, nel corpo che sono, nella terra che mi porto sotto le scarpe mentre cammino, nei legami che intreccio. Sono più che siciliano, vado oltre la Sicilia.
Non tutto ciò che vedo mi piace. Non tutto ciò che sento mi rallegra. A dire il vero non mi piace né mi rallegra granché niente, ma quello che resta di quel niente è il mio fine, il mio unico scopo; farlo emergere nella sua interezza e farlo ingrassare finché il vero niente sarà ciò che non mi piace.
Come voglio incidere sulla terra che vivo e che sono e, quindi, come voglio incidermi? Attraverso un mezzo antico come il sapere, attraverso il nostro innatismo alla parola che diventa carta, vera o virtuale, tattile o tattica, che brucia o che fonde.
È il libro. È il sapere e i saperi che si trasmettono attraverso ai libri. È la crisi che plasma nuovi pensieri che sarebbe utile che venissero trasmessi e diffusi.
Io vorrei incidere, incidermi, attraverso il suggerimento (la suggestione!) di libri che possano rompere i chiavistelli delle nostre menti, che veicolino una cultura che è forzatamente incastrata in una nicchia non perché si sia scelta questo luogo da abitare, almeno non solo, ma perché è ignorata da quella che viene detta grande distribuzione, da quei canali comunicativi talmente grossi da diventare grossolani; perché il best seller non cambia la realtà, non la intacca, veicolando un fast-think mordi e fuggi il cui unico risultato è un cervello ipertrofico e grasso di pensieri vacui.
In un mondo in continuo divenire il nostro compito, di tutti, dovrebbe essere quello di imparare la manipolazione e la mescolanza, come se fossimo alchimisti o cuochi provetti o nonne friggitrici.
Manipolazione intesa non come alterazione, ma come lavorazione manuale, confidenza tattile con informazioni e plasmarne il contenuto mischiandolo con altri contenuti, imparando a riconoscere gli accostamenti e vederne il tutto unito e le singole parti nello stesso momento.
Mescolanza nel senso di abbandono dell’inattuale ed inefficace pensiero unico, unico stile di vita, unico modo di intendere il soggetto, il predicarsi, l’essere oggetto, unico modo di scrivere un manifesto, unico gridare, unico pensare, unico affetto, senso unico, sesso unico.
Io sto cominciando a costruire un paese, un borgo, non su di una terra della sostanza delle nuvole, ma su di una terra fatta di terra, di questa terra che se abbassate gli occhi, sotto il pavimento, in fondo, è la stessa che state calpestando, almeno idealmente. Io voglio radicarmi fortemente in questa terra e da qui spiccare il volo, perché per un salto migliore è necessaria una migliore base. Tutti siete invitati nel borgo che diventerà nostro e non ad abitare nella mia casa, ma a costruire le vostre case sulla medesima terra, per abitare il luogo ed i luoghi e per trovarci vicini, dirimpettai nei pensieri.
E su questa terra dissodata, nei giardini delle case o nelle rupi a strapiombo, attendere che attecchiscano i capperi e stropicciarci gli occhi con entrambi i pugni chiusi e gridarlo: Capperi!
Capperi! è un collettivo d’intenti, un pensatoio comune, una fucina di alternative, una ve(n)detta metropolitana. È una voce dal basso che sale, linfa che si inietta a rinverdire luoghi un tempo floridi e pulsanti che l’accidia e il malcostume hanno offuscato.
Capperi! è il nostro grido, è una riscossa, quella di chi oltre ad assolati lidi estivi e città dai barocchi bagliori, ha da offrire la storia di popoli e culture, travagli millenari, violenti mutamenti e solidali convivenze.
Capperi! è consapevolezza, perché senza identità non c’è forma nell’indistinto. È un villaggio che s’accresce sul proprio domandare.
È lo spazio del fantastico e del sublunare, più che un rifugio un gran ristoro.

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