martedì 25 maggio 2010

La nausea


Antoine Roquentin è un instancabile viaggiatore, lunghi ed avventurosi spostamenti tra Europa centrale, Africa del Nord ed Estremo Oriente caratterizzeranno la sua esistenza fin quasi ai suoi trent'anni. Poi l'arresto repentino a Bouville, ordinata e quieta cittadina francese. L'intento è quello di redigere una biografia sul Marchese di Rollebon, noto libertino del Settecento. Ben presto però qualcosa sfuggirà al controllo di Roquentin, un evento imprevedibile ed in rapida evoluzione stravolgerà per sempre la vita dell'ex-viaggiatore.
Il tempo delle avventure si è ormai concluso per Antoine. Peggio. Egli sente perdere anche l'orgoglio di un passato avventuroso, come se tutto si svuotasse e perdendo consistenza si svilisse sempre più, quasi non fosse mai esistito. La tappa successiva sarà la nullificazione totale: “mi sembra d'aver mentito, mi sembra che nella mia vita io non abbia avuto la minima avventura o piuttosto non so nemmeno più che cosa voglia dire questa parola”.
La nuova avventura sarà tutta interiore, un viaggio esistenziale verso il progressivo disvelamento della Cosa, di quel peso intollerabile ed inesplicabile che conduce lo scrittore verso terrifiche visioni che deformeranno via via il suo personale senso della realtà fino a renderlo rivoltante, inaccettabile, nauseabondo.
La Nausea dunque. Come un crescendo, un iniziale, improvviso turbamento che nel suo ignoto e virulento manifestarsi, terrorizza Roquentin ma scompare via rapido, senza lasciar chiare tracce di sè, se non un profondo sgomento.
L'evento si manifesta per la prima volta durante una passeggiata in spiaggia. Antoine vuole lanciare un ciottolo in mare ma qualcosa lo arresta, non riesce più a trattenerlo tra le mani che se ne ritraggono terrorizzate: ne sente d'improvviso l'esistenza. Non è più un ciottolo. Non più riconoscibile, esso semplicemente è, esiste. Si rifiuta di avere un senso, mostra una sorta di passiva resistenza.
La Nausea è dunque una sorta di fulminea, terrificante consapevolezza di questo strano e immenso magma chiamato Esistenza. Ma è un Esistenza nuda, pulsante e lacerante, non più immaginata come intangibile categoria. E la sua smacherata verità non è certo bella a “vedersi”, tanto peggio a sentirsi. Essa ha un che di osceno, di scabroso.
Un orrido spettacolo che non si offre certo ai molti e che per Antoine ha il sapore di un'amara quanto indesiderata iniziazione.
Per tutti gli altri rimane la grande menzogna. L’illusione del vivere secondo esperienza, di questo grande tesoro che la vita avrebbe concesso loro a beneficio. “Si sarebbe forse incaricata di pensare per loro, la Vita?”.
Antoine osserva con pietoso scherno il vivere secondo i rigidi dettami della morale borghese, il dover fare, il dover essere, il doversi mostrare di volta in volta un buon figlio, un buono sposo, un buon padre, un buon capo. Una vita senza macchia che ritiene di essersi guadagnata il proprio posto nel mondo. Una morale che condanna chi non è stato ligio al dovere, chi vive senza meritarlo.
Un diritto non è che l’altro aspetto di un dovere”. Hai fatto ciò che dovevi? Allora hai diritto. Diversamente sarai un reietto, un invisibile, un'offesa all'umano decoroso esistere.
Ma Antoine sa che le cose stanno ben diversamente. Sa che gli uomini non sanno di esistere perché non sentono. Si accontentano di credere di avere il diritto di esistere, ciò che concede loro il diritto di non pensare. Le azioni quotidiane, le piccole ritualità di ogni vita individuale altro non sono che uno stratagemma per “velare l’enorme assurdità dell’esistenza”, è la grossa menzogna di cui l'umanità si macchia rendendosi colpevole e meschina.
Figura emblematica della grande illusione di cui si beano gli uomini è quella dell'Autodidatta, perfetto eroe tragico di stampo postmoderno. Quest'uomo si crede un umanitario, si dichiara socialista ed ha fatto dell'amore per l'uomo una missione, un dovere assoluto. Ma Antoine, che suo malgrado di umanitari ne ha fatto l'inventario di ogni specie, sa che anche loro appartengono alla messinscena della grande menzogna e vorrebbe smascherare o meglio scuotere l'Autodidatta dal suo torpore filantropico che trova patetico e fallimentare. Tuttavia è anche pervaso da una sorta di tenerezza nei suoi confronti, per il fervore e l'entusiasmo genuini che accendono i suoi ideali, proprio perchè puro vorrebbe quasi proteggerlo da ciò a cui sa per certo andrà ineluttabilmente incontro: la solitudine, nel momento in cui il brusco risveglio non tarderà a giungere, quando verrà malamente percosso in biblioteca per la sua affettività ritenuta riprovevole. Ecco la ricompensa del mondo alla sua filantropia.
Il cieco vivere degli uomini è come un nuotare sulla superficie verdastra del mare, ma l'Esistere è ben altro, è percepire la profondità, fredda e nera, piena di bestie, di questo mare.
La Nausea è anche il mondo della possibilità, dell'angosciosa attesa/aspettativa di rovinosi accadimenti, di catastrofici scenari in agguato, di straziante, ineluttabile senso del precario. “Tutto può accadere, tutto”. Il mondo perde i suoi contorni e sfuma nell’indefinito, come una cosa a sé stante, misteriosa e inafferrabile. Ogni cosa è lì, al proprio posto, l’ordine è quello di sempre, ma è un ordine che non ha più ragion d’essere. Un ordine minaccioso ed inquietante, una compostezza che non rassicura ma schiaccia, annichilisce.
La caducità dell’essere si manifesta in tutta la sua veemenza, le cose sono lì, nella loro sinistra compostezza, ma sono pronte a crollare o scomparire da un istante all'altro.
Lo smarrimento del sé, il non riconoscersi sembra il filo conduttore di tutta l’opera.
Antoine Roquentin sente tutto il pesante vuoto della propria esistenza, cerca di colmarlo con delle storie, come quella di Rollebon, alle quali si aggrappa con ogni residua forza, quasi con disperazione, come se l'esistenza altrui potesse motivare la propria, come fosse l'ultima flebile speranza. Tuttavia anche queste gli sfuggono inesorabilmente di mano, proprio perchè non gli appartengono.
Teme gli attacchi, sempre più lunghi e frequenti, della Cosa, come una vera entità che lo possiede e di cui è sempre più difficile liberarsi. La Cosa è l’esistenza fluida, svincolata, travolgente, è la Nausea che più si manifesta e più si disvela alla sua vittima prescelta in tutto il suo disgusto.
L’esistenza è molle e rotola e sballotta. L’esistenza è una caduta. L’esistenza è un’imperfezione”.
Nel mondo della Nausea non c’è spazio per la filantropia come per ogni forma d'umanitarismo, perchè, semplicemente, non hanno ragion d’essere. Sono solo menzogne che gli uomini si raccontano tra loro (come a se stessi) nell’illusione che l’esistenza abbia un senso.
Antoine piuttosto rimane atterrito proprio dal non-senso delle cose, dall’atroce arbitrio che le domina e che le rende familiari, ma si accorge che spostando lo sguardo appena oltre la superficie esse travolgono in una densa marea d’inesplicabilità e mistero fin quasi a spingere al baratro dell’assurdo, rimanendo nella loro spaventosa semplicità delle Cose, quelle che lui impara a chiamare “le innominabili”.
L’esistenza diventa allora come un fastidio da sopportare, che anima i corpi degli uomini altrimenti imbelli. Antoine si sente pervaso, assillato, soffocato da essa.
Ogni umana relazione, legge, simmetria si rivela così in tutto il suo arbitrio sotto il peso dell’esistenza autenticamente rivelatasi.
Osservando una radice ci si può sforzare di darle un senso, chiedersi quale sia la sua funzione, il suo scopo. Ma il suo fungere da pompa, da canale e da sostegno getterà forse luce sulla sua esistenza? Svelerà forse la sua più intima essenza? Certamente no, perchè permane il suo mistero. Ecco l’Assurdo. Lo scabroso. L’ingiustificabile.
C’è poi un momento culminante. Quello che Antoine definisce di “estasi orribile”. È il momento in cui sente finalmente di comprendere la Nausea quando, in un bagliore di improvvisa ed inattesa lucidità, si accorge di essere egli stesso la Nausea. Ecco allora farsi tutto improvvisamente chiaro, ecco stanato ogni uomo nella propria meschina menzogna: nessuno ha diritto all’esistenza, essa è lì, gratuita, per il medico, per il mendicante, per la radice, ce n'è per tutti e di più, è un ingombro di esistenza.
Beninteso, un esistere che non è uno scoppio gioioso e brulicante di vita ma solo una sofferente, malata e deforme sovrabbondanza, una moltitudine di tentativi d’esistenza, tetri e fallimentari.
Si annienta la necessità dell’esistere, soverchiata dall’imbarazzo dell’esistere, dell’essere di troppo e dunque inutile.
Antoine non percepisce una volontà all’esistere quanto piuttosto un’ineluttabilità, un esserci malgrado, un lasciarsi vivere. Esistenza come condanna.
L'incontro finale tra il protagonista ed Anny, la donna amata di sempre, l'eroina alla costante ricerca del momento perfetto, assume un aspetto di tragica solennità, anche in questo caso il sapore è quello dello smascheramento, della rinuncia, del fallimento dell'ideale: Anny ammette di aver abbandonato la sua ricerca, non ci sono più momenti perfetti, non c'è più un senso. “Mi sopravvivo”, è il lapidario epilogo con cui Anny sigilla la propria sconfitta.
La Nausea appare dunque come il manifesto del fallimento umano, unici protagonisti sono gli sconfitti, consapevoli o meno.
Non rimane dunque altra possibilità che arrendersi inermi al funesto martirio dell'esistenza?
Il responso giunge ad Antoine in una bettola, suggerita da una melodia, quella di “Some of this days”, egli l'ascolta e se ne lascia incantare, forse si può soffrire a tempo. Ecco la risposta. Non è dell'uomo la colpa dell'esistere e allora perchè dannarsi di questa imperfezione? Meglio imparare a vivere danzando, come una melodia la cui bellezza sfugge alla caducità del tempo, che resiste al graffiarsi e deteriorarsi del disco, che può nascere in una squallida camera semibuia, al ventesimo piano di un anonimo edificio di New York da mani sudice e sbronze e non per questo sentirsi intimidita ad inebriare il mondo della sua bellezza.
Forse la bellezza può giustificare un'esistenza. Almeno un poco. Quel poco che basta.



Marco Salanitri

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