Prendi un popolo oppresso da una tirannide odiosa. Dagli un sogno, insegnagli che esistono ideali nobili, lasciagli attraversare le dita dal vento della libertà. È così che nasce la democrazia, dopo tempi difficili e tragici.
Quel popolo, una volta ottenuta giustizia e rettitudine, sarà più felice. Si ergerà al di sopra delle macerie. Prenderà le rovine e le trasformerà in nuove case. Prenderà il passato e ne farà esperienza. Prenderà i ricordi più bui e saranno i sassi che chiuderanno il sentiero che non dovrà più essere percorso.
Saranno scritte nuove regole, che garantiranno equità per ogni individuo elevato al rango di persona. Verranno nuovi capi e saranno gli alleati della gente ordinaria e per essa realizzeranno progetti grandiosi, per il bene comune. Gli operai offriranno la forza e il sudore delle loro spalle. Le madri daranno il loro conforto e il loro abbraccio. E ci saranno i sognatori, che penseranno per tutti, quando tutti gli altri saranno troppo stanchi per farlo, e che soffieranno per sempre nelle vele della speranza.
Dai tutto questo a un popolo. E malgrado ciò, ad un certo punto, spunteranno i cinici che non crederanno alle parole dei sognatori perché vedranno solo le crepe, inevitabili in ogni cosa che si costruisce, e che loro contribuiranno a rendere più grandi e insicure. Verranno i furbi, a promettere il meglio col loro sorriso astuto senza dire che il meglio arriverà e sarà solo per pochi. Verranno i violenti, a latrare quando la gente ricorderà loro che le regole erano altre, che alla fine tutti gli uomini sono uguali e la violenza non è una soluzione. Ma senza successo. Verranno i poeti di regime che canteranno le gesta dei nuovi padroni e dei nuovi tiranni, e non importa niente che queste siano vere. Conterà soltanto che la gente, ormai ridotta a pubblico, vi creda.
Come pecore, le persone verranno condotte dai grandi comunicatori in un recinto, a imparare a memoria che ciò che fino a ieri è stato abietto da adesso è buono e auspicabile. E quando qualcuno cercherà di ricordar loro le leggi di un tempo, queste beleranno che solo in nuovo ordine è buono e le loro voci, perché tante, saranno assordanti e copriranno libertà, democrazia e diritto. E sarà il trionfo di pochi, di quelli che detengono il potere della ricchezza, di quelli che controllano l’informazione e che fanno della propria terra un posto meno libero e meno bello da vivere.
No, non sto parlando dell’Italia di oggi. Si tratta solo un romanzo, per fortuna. Basterà sostituire il pubblico al gregge, gli operai e le madri ai cavalli, i cinici agli asini, i violenti ai cani e i furbi ai maiali. E se dopo questo esercizio di fantasia, anche voi guarderete dagli uomini di oggi ai maiali e dai maiali agli uomini di oggi e vi sarà impossibile distinguere fra i due capirete perché Orwell è un genio intramontabile e perché La fattoria degli animali, al pari di ogni opera che racconta il presente attraverso suggestioni e immagini di altri tempi, è un’opera assoluta, imperitura e tragicamente attuale.
Dario Accolla
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