martedì 19 gennaio 2016

Walkaboutitalia. L'Italia a piedi, senza soldi, raccogliendo sogni

It’s alright and all wrong // For me it begins at the End of the Road”. Lo intona Eddie Vedder in una delle tracce che accompagnano Into the Wild, il capolavoro diretto dall’amico Sean Penn. E potrebbe accompagnare il cammino di Darinka Montico, riportato nel suo primo libro: Walkaboutitalia. L’Italia a piedi, senza soldi, raccogliendo sogni (Edizioni dei cammini, 2015). Un resoconto di viaggio lungo sette mesi: duemilanovecentodieci chilometri da Palermo a Baveno, alla ricerca delle proprie radici.

Sulla strada, ma senza quella accidentalità molle che scandisce il romanzo di Kerouac: Darinka è curiosa di luoghi e persone di cui colleziona le storie, riappropriandosi di un Paese da cui è stata assente per 15 anni. “Viaggiare non è soltanto andare in un posto, è viverlo”, viverne le vicende, metabolizzarle tappa per tappa; “vivendo per osmosi”, l’autrice impara infine a conoscere il suo paese d’origine, incrociando la sua esistenza con quella dei suoi abitanti.

I capitoli del libro nascono come pubblicazioni di un blog (www.walkaboutitalia.com) – costante taccuino del suo viaggio, successivamente rivisitate, rielaborate e talvolta stravolte – e ne mantengono l’impronta grezza. «Penso in inglese e poi traduco in italiano» spiega, e in effetti le scelte sintattiche, dirette e fugaci, confessano questo meccanismo, quale traduzione di un impressionismo pop, descrittivo ed emotivo, sensibile alle citazioni degli autori che costituiscono la colonna sonora di questa esperienza (da Vedder a Battisti, Dylan e Guccini, dai Radiohead a Leonard Cohen). I pensieri privati di Darinka si insinuano tra un passo e un altro, senza reticenze e senza tedio autoreferenziale: gli scoramenti e gli entusiasmi, le sbronze, e la progressiva liberazione dal fallimento di un amore. Il presente del diario di viaggio è affiancato dai racconti delle sue esperienze precedenti: manifestante a Genova nel 2001, studentessa di fotografia a Londra, cooperante in Laos, spogliarellista in Australia. Una, meglio più vite, distribuite per i cinque continenti, rese trepidanti dal sangue slavo-gitano (da parte di nonna; e partigiano per via del nonno) e da un imperativo fotografico. Migrante spesso per amore, poiché – racconta l’autrice – i suoi spostamenti, prima del ritorno in Italia, sono scaturiti spesso da passioni appena sbocciate, altre volte da passioni estinte. Le mete spesso scelte per caso, così come per Cheryl Strayed, protagonista della pellicola biografica di Jean-Marc Vallée, la quale intraprende il Pacific Crest Trail dopo aver gettato lo sguardo su di una guida turistica.

“Cacciatrice di sogni” – personali e altrui – e insieme liberazione dagli stessi, loro sublimazione. Raggiungendo Baveno, casa natale e capolinea, pagina ultima di questa esplorazione interiore, Darinka apprende che qualcosa in lei non è più capace di attecchire, non a lungo termine. Le sue radici sono adesso sparse lungo tutti i luoghi che ha attraversato, e “la strada è la sua casa” (così anche i Modena City Ramblers). “Redenzione” ha per titolo l’ultimo capitolo e sancisce il compimento di quel processo per “trasformare rimorsi e rimpianti in opportunità”, il bilancio finale del viaggio e di un terzo della propria vita. Darinka vede allinearsi tutte le scelte compiute fino a oggi – il nomadismo moderno come stile di vita –, le vede tutte convergere verso quell’esatto istante, sotto il cielo stellato a Stresa, verso quel nitido barlume di intima verità, prova che le cose non potevano andare diversamente.

È un tour romantico (già il diario lirico di Byron, il Childe Harold’s pilgrimage) nell’epoca di smartphone, Spotify e Couchsurfing.com. “Viaggiando senza soldi, è la fiducia a sostituirli” e la scelta radicale le permette di ricercare l’importanza dei rapporti umani, sottolinearne la dimensione solidale. Per di più protesta contro lo status quo mercantilistico e audace sfida con sé stessa (i soldi rendono le persone prudenti, ricorderebbe Chris McCandless). L’Italia che Darinka attraversa e racconta non è tanto il Paese geografico quanto quello dei suoi abitanti e della loro quotidianità, delle loro aspettative nei confronti di uno Stato la cui presenza è ancora intermittente. È il Sud (coperto da tre quarti del libro) delle grandi incompiute e delle discariche abusive di radioscorie, della svendita ai privati del centro storico di Taranto e del dilemma salute/lavoro presso l’Ilva; il Sud delle cooperative che rivalorizzano le terre confiscate alle mafie e promuovono agricolture biologiche e sostenibili. Più che sogni, l’autrice colleziona in effetti episodi di resistenza.


È stato Goethe a recitare “qualunque cosa tu possa fare, qualunque sogno tu possa sognare, comincia ora”. E allora “sognare come sottile forma di ribellione”: il libro di Darinka è una protesta contro l’’apatia e l’omologazione del mondo contemporaneo, social o reale che sia; opposizione alla precarietà (economica e intellettuale) di questi tempi, al suo nichilismo imperante e insensibile. L’insegnamento in esso contenuto, che ad oggi c’è ancora spazio per un mito romantico.


Livio Cavaleri

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