L’imbarazzo che provo nel momento in cui mi approccio alla questione del genere, delle sue identità e delle sue differenze, credo sia da attribuire al fatto che quando si parla di genere si commette, pur non volendo, un errore.
Non è errato dire che esistano le femmine e i maschi; è poco corretto dire che la differenza di genere sia essenziale per definire una più ampia differenza tra corpi. Un maschio e una femmina differiscono solo per avere una biologia cromosomica differente? O, forse, sono i corpi a differire tra loro in base al pensiero che abbracciano?
Se gettiamo uno sguardo alle nostre spalle ci accorgiamo che la Storia ci ha inculcato degli stereotipi in merito al maschio perfetto e alla perfetta femmina: un maschio deve essere aggressivo, virile, forte, capobranco, mentre la femmina è l’angelo del focolare, è colei che accudisce i figli e fa economia domestica.
Questi elementi di comportamento sociale non sono altro che ruderi stantii di ruoli sorpassati.
Il genere femminile e quello maschile si differenziano, socialmente, per il ruolo che i rispettivi corpi sono chiamati a ricoprire all’interno della società: ogni femmina ha un’etichetta ben visibile che dice come ci si deve comportare e come la società si aspetta che la portatrice di quella etichetta si debba comportare e così vale anche per il maschio.
Ciò accade solo perché la nostra società a pensiero unico è portata naturalmente alla semplificazione: se davvero si osservasse con più attenzione la differenza nel genere più che quella di genere, se si ponesse mente alle più o meno leggere sfumature che connotano il genere singolare, allora si giungerebbe a una tale esplosione del genere per cui ogni discorso in merito risulterebbe incompleto e, quindi, sostanzialmente inutile. Anche questo è, quindi, un discorso inutile, poiché non sono in grado definitivamente di affermare cosa davvero differenzi i generi tra loro se non la multidimensionalità del corpo. Ed è forse da qui che si dovrebbe ri-partire dopo che i pensieri delle donne hanno assicurato un approdo sicuro al percorso di individuazione delle peculiarità. Tuttavia l’approdo, seppur sicuro, non è più sufficiente, in quanto le barche ormeggiate a quel molo sono diventate troppe.
Genere femminile, genere maschile, trans-genderismo, trans-sessualismo, omo e etero e bisessualità sono elementi che, combinati tra loro, danno vita ad una produzione identificativa così ampia per cui dire che un maschio è maschio e dire che una femmina è femmina significa non dire niente.
Come dovremmo rapportarci ai generi, dunque? La risposta è, ancora una volta, che non è ai generi che si deve rendere conto, ma ai corpi. Ogni corpo rappresenta un mondo a sé stante tale per cui ogni affermazione di identità diventa affermazione di singolarità, in cui l’unica comunità davvero coesa è quella dei corpi, mentre le altre si frantumano nelle varie definizioni identitarie e quindi di somiglianza o, peggio!, di identità. Seguendo questo declivio si potrebbe giungere al paradosso che due maschi sono identici come sono identiche due femmine e torneremmo a definire il prototipo del maschio e della femmina universali ai quali tutti dobbiamo conformarci senza possibilità di confronto. C’è molto altro dietro un organo sessuale o dietro una coppia di cromosomi: c’è il pensiero che oltrepassa le barriere ormonali e persino quelle storicizzate, che compie il salto delle mura concettuali che l’idea dominante (che è quella del patriarca) ha eretto tutto intorno a noi. E il pensiero, seppur prodotto da un corpo sessuato, combatte strenuamente contro i legacci con cui quel sesso è stato imbrigliato, fino al punto in cui può dirsi autentico e, finalmente, oltre le determinazioni generiche.
Alessandro Motta
"(...)l’approdo, seppur sicuro, non è più sufficiente, in quanto le barche ormeggiate a quel molo sono diventate troppe".
RispondiEliminaIl corpo, e i verbi intorno. Le coniugazioni, i movimenti. Interessantissimo. E molto chiara la scrittura, esaustiva, emotiva direi nel non farsi "inutilmente" (e impossibilmente) analitica.
ciao.
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