lunedì 4 ottobre 2010

La fine del mondo e il paese delle meraviglie


Buio – Acqua – Tempo – Grigio – Unicorni

Sono le prime parole che mi vengono in testa quando penso a La fine del mondo di Murakami Haruki.
È un testo particolarmente affascinante per il tema trattato: le pareti del mondo non coincidono con le pareti della mente, né quelle fisiche né quelle temporali e, se i confini del fisico crollassero entro quelli del mentale potremmo persino sperimentare l'idea di eterno.
La storia è quella di un uomo, un cibermatico, uno che lavora col suo cervello come una specie di crittografo corporeo, immagazzinando dati e confondendoli con il proprio subconscio; è un lavoro complicato, che rischia di portare all'implosione della sottile membrana che separa quello che vedo da quello che vedo di vedere.
Il mondo fisico, una specie di Tokyo post moderna, è abitato, nelle sue profondità, nei sotterranei, da mostri terribili, gli Invisibili, che abitano il buio, l'impenetrabile cortina di un inconscio ferino e arcaico. Essi rappresentano, forse, i traumi non detti, le emozioni forcluse, la caverna interiore dove non ci è dato accedere senza il rischio per la nostra stessa incolumità fisica. Essi vivono in luoghi acquosi, dove l'acqua forma l'ambiente perfetto per loro e allo stesso tempo li tiene a freno. Allo stesso tempo; quale? Quello del mondo là fuori o quello del mondo là sotto o, ancora, quello del mondo là dentro? Il tempo si mostra, ancora una volta, per quello che è: un concetto relativo ai luoghi, alla percezione, allo spazio degli accadimenti. E nella mente il tempo può durare per sempre e il per sempre nella mente può durare cinque minuti nel mondo delle cose che si toccano.
Ci sono, oltre ai cattivi tout court, quelli che lo sono perché vogliono impadronirsi delle informazioni su un progetto segretissimo (che non posso svelare data la segretezza!) e che si chiamano i Semiotici; e per un mondo fatto di simboli arcaici e di forze che non vogliono farsi interpretare, i Semiotici sono fin troppo fastidiosi.

… e poi c'è una città perfetta ma assolutamente triste e grigia, dove nessuno pare avere sentimenti e tutti vivono tranquillamente (?) una vita inerte. Al loro arrivo in città vengono separati dalle loro ombre, perché si scordino dei corpi che sono stati e restino per sempre quello che sono adesso, immagini di una mente rifugiata. In questa città c'è un temuto Guardiano che non lascia uscire nessuno e che accudisce migliaia di unicorni, i quali raccolgono i sogni (le vite?) di ciascuno fino all'arrivo in città e una biblioteca dove qualcuno ha il compito di registrarli.
Per fuggire c'è un solo modo: tuffarsi nelle acque scure di un lago.


Film consigliati: Blade Runner, Inception


Alessandro Motta

sulla realtà delle ombre

1 commento:

  1. Murakami ha una scrittura affascinante. Anche se il paese delle meraviglie è sul mio comodino (ancora da aprire), trovo la sua scrittura incostante. Norwegian Wood -per quanto generazionale- è un romanzo bellissimo (così l'enigmatica raccolta "Tutti i figli di Dio danzano"), ma "L' uccello che girava le viti del mondo" mi è risultato veramente ostico tanto che da mesi sono fermo alle prime cento pagine.

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