mercoledì 27 ottobre 2010
venerdì 15 ottobre 2010
venerdì 8 ottobre 2010
Ragazze della guerra
Susan Scholl è una giornalista austriaca. Corrispondente da Mosca per la tv del suo Paese, si è occupata, come altri prima di lei, della situazione cecena nell’attuale Federazione russa. Come Anna Politkovskaja: donna simbolo della denuncia ed esempio di giornalismo impegnato, una delle prime ad aver parlato al mondo dei soprusi subiti dalla gente di Cecenia. Ed è proprio a lei che si deve l’esistenza di questo libro: “Ragazze della guerra” nasce infatti dalle ricerche svolte per un lungometraggio sulla Russia post-Politkovskaja.
L’inchiesta della Scholl racconta un viaggio nel Caucaso attraverso le storie delle donne incontrate.
Donne che hanno vissuto la deportazione, la fame, l’angoscia di non avere il cibo per i propri figli. Donne che hanno vissuto la guerra. Come Eva, presenza costante nel libro, quasi una guida in questo viaggio all’interno della disperazione. Eva, madre di due figli e moglie di un marito dispotico, che la picchia. La stessa Eva che ha scelto di documentare la realtà cecena con una telecamera, mettendo costantemente in pericolo la propria vita. Una scelta fatta anche da Natalija, uccisa dopo due anni dalla pubblicazione in tedesco di questo libro. E Lisa, famosa cantante cecena, straniera a Mosca, che racconta il suo tempo con le canzoni. Ma anche Sara, Rosa e tante altre donne cecene costrette a vivere fra il terrore di una guerra mai conclusa e la tradizione maschilista della “legge delle montagne”.
Mantenendo una posizione marginale, da osservatrice discreta, la Scholl lascia la parola alle tante protagoniste di questo libro. I suoi interventi diretti sono rari, limitati ad espressioni di ammirazione, sorpresa e, talvolta, di incomprensione. Di fronte alle condizioni di vita delle sue interlocutrici e alla speranza che persiste anche quando non rimane più nulla in cui sperare, in una Cecenia che vive una condizione estrema, perfettamente riassunta dalla poesia raccontata da Eva sul vecchio che piange, dove “Passa un angelo, gli chiede perché piange, poi gli promette di alleviare il suo dolore. Ma quando il vecchio dice di essere ceceno, l’angelo gli si siede accanto e inizia a piangere insieme a lui”.
Sara Loddo
lunedì 4 ottobre 2010
La fine del mondo e il paese delle meraviglie
Buio – Acqua – Tempo – Grigio – Unicorni
Sono le prime parole che mi vengono in testa quando penso a La fine del mondo di Murakami Haruki.
È un testo particolarmente affascinante per il tema trattato: le pareti del mondo non coincidono con le pareti della mente, né quelle fisiche né quelle temporali e, se i confini del fisico crollassero entro quelli del mentale potremmo persino sperimentare l'idea di eterno.
La storia è quella di un uomo, un cibermatico, uno che lavora col suo cervello come una specie di crittografo corporeo, immagazzinando dati e confondendoli con il proprio subconscio; è un lavoro complicato, che rischia di portare all'implosione della sottile membrana che separa quello che vedo da quello che vedo di vedere.
Il mondo fisico, una specie di Tokyo post moderna, è abitato, nelle sue profondità, nei sotterranei, da mostri terribili, gli Invisibili, che abitano il buio, l'impenetrabile cortina di un inconscio ferino e arcaico. Essi rappresentano, forse, i traumi non detti, le emozioni forcluse, la caverna interiore dove non ci è dato accedere senza il rischio per la nostra stessa incolumità fisica. Essi vivono in luoghi acquosi, dove l'acqua forma l'ambiente perfetto per loro e allo stesso tempo li tiene a freno. Allo stesso tempo; quale? Quello del mondo là fuori o quello del mondo là sotto o, ancora, quello del mondo là dentro? Il tempo si mostra, ancora una volta, per quello che è: un concetto relativo ai luoghi, alla percezione, allo spazio degli accadimenti. E nella mente il tempo può durare per sempre e il per sempre nella mente può durare cinque minuti nel mondo delle cose che si toccano.
Ci sono, oltre ai cattivi tout court, quelli che lo sono perché vogliono impadronirsi delle informazioni su un progetto segretissimo (che non posso svelare data la segretezza!) e che si chiamano i Semiotici; e per un mondo fatto di simboli arcaici e di forze che non vogliono farsi interpretare, i Semiotici sono fin troppo fastidiosi.
… e poi c'è una città perfetta ma assolutamente triste e grigia, dove nessuno pare avere sentimenti e tutti vivono tranquillamente (?) una vita inerte. Al loro arrivo in città vengono separati dalle loro ombre, perché si scordino dei corpi che sono stati e restino per sempre quello che sono adesso, immagini di una mente rifugiata. In questa città c'è un temuto Guardiano che non lascia uscire nessuno e che accudisce migliaia di unicorni, i quali raccolgono i sogni (le vite?) di ciascuno fino all'arrivo in città e una biblioteca dove qualcuno ha il compito di registrarli.
Per fuggire c'è un solo modo: tuffarsi nelle acque scure di un lago.
Film consigliati: Blade Runner, Inception
Alessandro Motta
sulla realtà delle ombre